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l’aperta campagna affermassero un assoluto

diritto di presa su tutte quante le terre. Se­

duce 1 ipotesi che le prime colombaie sieno

state costruite in Valle d ’Aosta al tempo dei

Saraceni al sorgere, come pure pare, dei

primi castelli. Respinti e debellati i Sara­

ceni, per merito delle energiche difese di

San Bernardo di Mentone, i castelli fiorirono

fino al secolo XVII non per i grandi rivol­

gimenti politici, poiché nessun nemico este­

riore invase più la valle fino a tale epoca,

ad eccezione della rapida e devastatrice

scorreria dei vallesani sullo scorcio del se­

colo X III, piuttosto grazie la natura dei luo­

ghi, il carattere dei signori e l ’indole del

popolo.

E come si moltiplicarono i castelli corre­

dati dalle torri, che erano pure insegna e

presidio di signoria anche le colombaie o

isolate o adossate ai castelli stessi fecero la

loro maggiore apparizione. In proposito ci

è stata tramandata la leggenda, o fatto sto

rico, che Gottofredo fosse solito rinchiudere

la nobile consorte nella stanza sottostante

alla colombaia di Graines. Non ci sarebbe

da stupire che ciò non avesse molto spia­

ciuto alla pallida castellana per potere usu­

fruire della finestra come da verone, per

potere, ^al chiarore delle stelle gettare al

furtivo amante la scala di seta.

Colla calata di Bonaparte in Italia la re­

gione Piemontese ebbe a risentire per pri-

ma e più d ’ogni altra della manìa devasta­

trice dei suoi eserciti. Questi varcati le vette

nevose delle Alpi distrussero le colombaie

di alto volo togliendo così al popolo per il

quale esse costituivano un vero profitto, un

cibo sanissimo, squisito ed al massimo buon

mercato, quindi alla portata di tutte le bor­

se. Sembra che al principio del 1815 solo

pochi colombi fuggiaschi, scampati a tanto

eccidio, popolassero alcune delle colombaie

che non erano state rase al suolo, come ad

esempio quella dei Challant a Verrès.

Rimaste esse così deserte non si pensò

più di ripopolarle con ogni probabilità per

il falso concetto — tramandato dagli anti­

chi, come abbiamo visto — che i colombi

danneggiassero la campagna e che l’utile

ricavato non compensasse il danno che ar­

recavano. Ma nel manvato allevamento

sembra che si debba rintracciare anche

un’altra causa, di indole generale e forse

più accettabile della prima, che si potrebbe

precisare così : mancanza di passione per

l ’allevamento del colombo negli abitanti

della plaga torinese. In esecuzione del de­

creto imperiale datato da San Clodoaldo il

4 termidoro anno XIII da Napoleone, re di

Italia, sulla soppressione della feudalità an­

che il diritto esclusivo

des fujes,

dei colom­

bai fu abolito. I colombi dovevano tenersi

però chiusi all’epoche fissate dalle Comu­

nità e durante tale tempc erano considerati

come selvaggina ; ognuno aveva il diritto di

ucciderli o di

cidere, solamente però

sui propri possessi. L ’allevamento del co­

lombo venne in tal modo lasciato all’abita­

tore della campagna che lo praticò irrazio­

nalmente per procurarsi solo un piccolo pe­

culio vendendo i piccioni (cioè colombi tolti

dal nido) al mercato della città anziché il ci­

mentarsi col porgere nuovi mezzi più profi­

cui o col promuoverne la diffusione.

La trascuratezza di tale allevamento è af­

fermativamente dimostrata da più riflessi.

Difatti nella metà circa del secolo decimo-

nono taluni abitanti di Parma, amanti della

grande Patria italiana e non sicuri del se­

greto postale, corrispondevano per mezzo di

una razza indigena, e perciò detta Parmen­

se, di colombi viaggiatori, coi patrioti del

Piemonte non escluso con quelli di Tarino.

Venuto a conoscenza di ciò il Governo du­

cale di Parma ordinò che fossero uccisi tutti

i colombi che erano fatti viaggiare, il che

fu eseguito in una notte del giugno del 1858

da diversi poliziotti.

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