

Per questi maniaci, il conte Alfieri aveva
pensato, facendo allestire alcune salette spe
ciali, strette, lunghe, a lle quali si accedeva
direttamente dallo scalone 3 ’ingresso. 1
giuocatori potevano essere sicuri, che nulla
colà li disturbava. L ’eco della musica dei
melodrammi, fondata quasi esclusivamente
sul quartetto d ’archi, non giungeva a loro.
Più tardi, quando il giuoco fu abolito, i lo
cali furono assegnati a i fumatori, e a un
banco di rinfreschi (101).
Nei giorni feriali, esclusivamente, era am
messo sullo scalone d ’ingresso un banco per
la vendita di minuterie e di galanterie.
L ’Orioles nelle sue
Memorie
non accen
na a una costumanza, che vigeva per l ’u
scita dal teatro Regio, specialmente in oc
casione di rappresentazioni straordinarie, o
di gala. Verso la fine dello spettacolo i pal
chi si vuotavano rapidamente e le dame e i
cavalieri, passando per una sa la dietro la
Corona, andavano a schierarsi nella galleria,
che unisce il teatro al Palazzo Reale per
fare ala ai Sovrani, quando si ritiravano.
L'uscita di questa schiera elegante avveniva
per lo scalone attuale dell* Armeria Reale.
Questa usanza poi dismessa fu richiama
ta in vigore, forse per l ’ultima volta, nel
l ’anno 1844, quando con una serata straor
dinaria si festeggiò la nascita del re Um>
berto I.
Per lo sgombro della platea del teatro
Regio erano aperte due porte laterali corri
spondenti ai palchi di prim ’ordine segnati
attualmente col numero uno.
La seconda opera della stagione fu
VAr-
taserse
di Gaetano Arena, napoletano, che
andò in scena il ventun gennaio. L ’autore
la pose in scena e la suonò in orchestra, ri
cevendo in compenso mille e trecento lire.
I balli furono del coreografo Aquilanti, e
le ariette di essi dei fratelli Suardi, suona
tori del corno da caccia di Sua Maestà Sar
da. Scenografo fu ancora il Bibienna.
Agli artisti di canto furono in questa sta
gione corrisposti queste paghe : Le prime
donne Catterina Visconti e Margherita Cle
menti ebbero rispettivamente seimila sei
cento cinquanta lire e duemila ottocento
ventotto; il soprano Giovanni Carestini ne
ebbe ottomila seicentoquar mtacinque, il
contralto Giovanetti musico del Re di Sar
degna, settecento ottanta, il tenore Amore
voli tremila ottocento ventitré.
Sulla stagione successiva, durante la
quale furono rappresentate la
Zenobia
del
Latilla (prima rappresentazione 24 gennaio
Latilla e la
Semiramide riconosciuta
del Jo-
melli (prima rappresentazione il venti gen
naio 1742), poco abbiamo da dire. In se
guito a l successo conseguito d a lla
Semira
mide
il Jommelli fu riconfermato per la
composizione della seconda opera della sta
gione successiva.
Pittore
s c e n P rM" ’ *r>
fu in quest’anno Inno
cente Beliavita, veneziano.
11
Caio Fabrizio
d e ll’Auletta, rappresen
tato il ventisei dicembre del 1742, prece
dette di un mese esattissimo il
Tito Manlio
del Jommelli (102). Le due opere furono
decorate con scene allestite dai pittori Gio
vanni Francesco Costa e Giovanni Battista
Crosatto, veneziani, e accompagnate da
ba lli del notissimo Gaetano Grossatesta o
Testagrossa , modenese, che il Goldoni ne l
le sue Memorie dice uomo di molto spirito
e coltissimo (193), marito di una ballerina,
chiamata Maria, che lo stesso autore defi
nisce eccellente. Di costoro parla anche il
famigerato Casanova nelle sue Memorie.
Le ariette dei balli, furono di A lessio Raz-
(101) Nelle «ale da giuoco era vietato l'ingresso agli ec
clesiastici. Erano però ammessi gli abati non sacerdoti.
L ordine di Sua Maestà infatti faceva eccezione per l'abate
Priocca.
(102) Quest'opera ebbe lieto incontro. And ò in scena ii
ventisei gennaio del 1743.
(103) Del Grossatesta parla anche nella sue Memorie ii
famigerato Casanova.
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