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mente augurabile anche ai fini sociali. Il creare

una coscienza civica e varia, alto segno di civiltà,

è

sommamente utile: dovrebbe divenire materia

obbligatoria d’insegnamento nelle scuole.

Molte città hanno il proprio Museo: così Bu­

dapest, Dresda, Francoforte sul Meno, Lipsia,

Leningrado, Londra, ma gli esempi più tipici sono

forse l’«Historisches Museum der Stadt * di Vienna

ed il «Museum of thè city of New York * che è

il più organico di tutti.

Altre città sono rappresentate in Musei di più

largo intendimento, come Berlino col Museo della

Marca di Brandeburgo, Basilea con quello storico

del Cantone, Amburgo e Bergen in Istituti illu­

stranti la storia delle città anseatiche, e così via.

Ciò senza contare altri Musei delle medesime città

che ne illuminano la storia sotto qualche partico­

lare specie.

Per limitare l’esempio soltanto a Berlino note­

remo che questa città oltreché nel citato Marki-

ches Museum, il quale è a lei in gran parte dedi­

cato, trova delle attinenti espressioni nel locale

Museo del Teatro Nazionale, in quello dei tra­

sporti e costruzioni, nel Museo della sicurezza e

dell’igiene del lavoro, in quello di etnografia te­

desca, e ancora nel Schinkel-Museum dedicato al

grande architetto neoclassico ed in quello allestito

ad onorare Lessing ed altri uomini celebri; infine

nello Schloss Monbijou riguardante la storia degli

Hohenzollem e nella Ermelerhaus tipica esempli­

ficazione della vecchia abitazione signorile berli­

nese.

* * •

Volendo tracciare a grandi linee e senza alcuna

pretesa di esauriente completezza uno schema di

quello che dovrebbe essere l’ordinamento del nostro

Museo possiamo accennare a questi reparti.

Mappe, piante, tracciati: ampliamenti, abbatti­

menti, risanamenti.

I

Reali Sabaudi: soltanto per quanto si riferisca

ai rapporti diretti con Torino, chè un particolare

Museo Sabaudo è già in progetto.

I grandi concittadini iconografia personale ed

attinente alla loro vita ed alle loro opere nei rap­

porti con la città.

Architettura: chiese, palazzi, grandi costruzioni

sino alle più recenti.

II teatro, le scuole.

Progresso dei mezzi di comunicazione, illumi­

nazione, servizi pubblici.

Lotta e prevenzione contro le malattie, il

fuoco, ecc.

Usi e costumi.

Arti, mestieri, industrie, commerci.

• • •

Il cittadino che visitando il Museo riconosce che

la casa ove abita

è

fondata sulle mura romane;

quello che s’avvede che quando ascolta la predica

domenicale, sosta nel luogo stesso del Foro, o cne

nel rione dove si reca al lavoro nella fragorosa

officina, si ritrovano delle sepolture dell’epoca im­

periale: colui che s’accorge che sotto gli uffici

testimoni dei suoi malumori e delle sue impazienze

è la galleria dell’eroismo di Pietro Micca, o che

la piazza suburbana echeggiante oggi delle grida

dei ragazzi che giocano alla guerra, già vide i

francesi togliere precipitosamente le tende dell’as­

sedio, acquista un senso che mi permetterei di

chiamare storico della propria personalità civica.

Quanti esempi, quanti ammonimenti, quanti

motivi di interesse di rispetto di orgoglio possono

suscitarsi da queste rivelazioni.

L ’artigiano che apprende come l'università —

quanto dire corporazione — della sua

arte

ebbe

sede e prosperò per secoli a due passi dal cortile

ove egli tiene bottega; e che la sua

università

non

gli avrebbe concesso il permesso di esercitare il

mestiere se egli non si fosse mostrato capace di

eseguire il

capo d'opera

(di cui trova il modello ed

espertamente giudica le difficoltà); quell’altro che

è indotto a sospettare di avere il laboratorio forse

proprio nell’

nella quale Piffetti o Bonzanigo

hanno creati quei capolavori che li hanno resi

degni di avere una via della città intitolata al

proprio nome, nel vivificato sentimento della tra­

dizione, acuiscono il senso della dignità del proprio

mestiere e dei suoi valori.

E ancora, quante riflessioni ed insegnamenti po­

trebbero sorgere da certe documentazioni!

Il visitatore pedemontano o meno, o quello

stesso i cui avi crebbero all’ombra di S. Giovanni,

che ritiene davvero Torino sia una città di

bou-

gianen,

troverebbe molte testimonianze atte a ret­

tificare il proprio convincimento. Possono valere

anche i più modesti esempi.

Egli avrebbe modo di apprendere come intorno

al 1775 via Doragrossa già avesse i marciapiedi

rialzati, quando Parigi doveva ancora attendere

cinquantanni per attuarli; onde il Larousse, ri-

spettatissimo oracolo del paterno scaffaletto, che

fissa l’epoca della moderna trovata urbanistica

verso il 1825, non fa sempre testo se non degna

allargare il suo sguardo oltre i gallici confini.

Ed il visitatore medesimo stupirebbe nel ritro­

vare la pianta di Torino nel tracciato di una città

australiana che nel nascere lo trasse da tanto inse­

gnamento romano e sabaudo.

£ inutile continuare; gli spunti, gli esempi po­

trebbero moltiplicarsi all’infinito. D’altra parte essi

sono quasi superflui non potendo sfuggire a nes­

suno il valore educativo e morale che avrebbe

l’istituzione di cui discorriamo.

Nella prefazione dettata da Filippo Bimbo ad

un

libro postumo del Bruno su vecchie storie

torinesi, si leggono queste frasi che, se pure rife­

rite a certi campioni fedelissimi delle patrie me­

morie, ben valgono a confortare il mio assunto.

«Cotesti uomini, cosi sinceramente e profonda­

mente legati alle vicende della propria città, della