

quale solo possono trovare risorse sufficienti per
il loro smercio e per la loro esistenza. Occorre
inoltre ricordare che esso è al servizio del centro
cittadino, ossia del quartiere più densamente popo
lato della città.
Il mercato di Porta Palazzo, con le sue partico
lari caratteristiche, non può quindi venire sop
presso; si potrà, al più, prenderne in esame l’ubi
cazione. Ora è evidente che se lo spazio esistente
nella zona non deve essere globalmente ridotto per
evitarvi un deprecato addensamento di costru
zioni, cosa alla quale giustamente il nostro ano
nimo tiene in modo particolare, è antieconomico
pensare alla creazione dello spazio necessario in
altra località che dovrebbe essere necessariamente
centrale. Qui infatti non si può sfuggire a questa
alternativa: o lo spazio da destinarsi al nuovo mer
cato è attualmente destinato a suolo pubblico, ed
allora non vediamo perchè non potrebbe essere
quello attuale; oppure è costituito da un’area fab
bricabile o, peggio, deve venire creato con oppor
tune demolizioni, nei quali casi ci sembra che la
soluzione, nel centro di Torino, risulterebbe ecces
sivamente onerosa per le finanze del Comune.
E tralasciamo di pensare a coprire la Dora per
creare un mercato, opera questa di tale costo e
di tale impegno da essere solo giustificata da motivi
di ordine eccezionale.
A parte le considerazioni già esposte, occorre
aggiungere che non si tratta di un semplice tra
sloco di banchi di vendita e di magazzini, ma di
annullare di colpo un complesso di attività che
potremo chiamare secolari, legate al funzionamento
del mercato, per crearle poi altrove. Tutto questo
è definito dal nostro anonimo « protezionismo di
interessi particolari
»,
mentre ai progettisti sembra
che ciò significhi soltanto un certo riguardo per gli
interessi economici, certo modesti singolarmente
come entità, ma assai importanti come numero, di
una infinità di piccoli commercianti ed artigiani.
Sembra quindi che la questione fondamentale
da porre nella soluzione del problema non sia
neppure quella di un artificioso spostamento del
mercato, ma piuttosto della sistemazione dello
spazio ad esso destinato, per modo che non ne deri
vino inconvenienti in rapporto al traffico, all’estetica
ed all’igiene. Questione non facile, che il progetto
degli architetti C. D. P. R. ha voluto affrontare
nella pienezza delle sue difficoltà: sistemare il mer
cato in altra località renderebbe naturalmente lo
studio assai più semplice e non varrebbe la pena
eh occuparww tanto a lungo, ma
è
appunto l’op
portunità dello spostamento che deve essere ne
gata.
Ma vi è di più. Il nostro anonimo ritiene che
è « l’ambiente che crea il commercio e non il com
mercio che crea l’ambiente »: questo principio è
assai discutibile. I due fattori debbono piuttosto
ritenersi strettamente dipendenti uno dall’altro e
non si può pensare di creare un ambiente inade
guato alle possibilità economiche del luogo, così
come è assurdo pretendere che l’attività commer
ciale si inserisca artificiosamente in un ambiente
inadatto per la sua ubicazione ed i suoi caratteri
intrinseci. Noi vorremmo che il nostro critico si
ponesse semplicemente la domanda: quali saranno
le possibilità di reddito dei fabbricati dell’attuale
piazza, ricostruita fedelmente secondo il prediletto
tracciato ottagonale, quando l’intiero spazio fosse
liberato dalla sua attuale destinazione a mercato?
Probabilmente tale domanda, dopo un’accurata in
dagine economica, porterebbe ad una semplice con
clusione e cioè che la preoccupazione del reddito
futuro dei fabbricati non ha ragione di essere,
semplicemente perchè nessuno prenderebbe l’ini
ziativa della ricostruzione, a meno che il Comune
non fosse disposto ad assumersi degli oneri gra
vissimi ed assolutamente inadeguati allo scopo.
Torino ha possibilità economiche relativamente
modeste ed il paragone
con.lazona del Verziere a
Milano non regge, tanto più quando un’immensa
piazza renderebbe insignificanti le possibilità di
sfruttamento dei piani terreni, che dovrebbero
invece costituire un elemento predominante del
reddito. Solo mantenendo alla zona le sue incon
fondibili caratteristiche commerciali, che si sono
andate ambientando da tanti anni, si potrà rag
giungere un giusto equilibrio tra le necessità del
risanamento e l’interesse dell’iniziativa privata alla
quale, in ultima analisi, qualunque essa sia, è
affidato il compito di realizzare quanto gli urba
nisti studiano e propongono.
Ma forse di tutto questo il nostro anonimo non
si preoccupa. Ciò appare evidente quando, a so
stegno della propria tesi a favore dello sposta
mento dell’attuale mercato, scrive: «si dovrebbe,
se non fosse cosi, ammettere che tutti i quartieri
periferici, anche a carattere operaio, non avrebbero
possibilità di vita perchè non vi è il mercato *.
Ignora forse il nostro urbanista l’ influenza del costo
dell'area sull'economia di una qualsiasi iniziativa
edilizia?
Neppure possiamo ritenerci d’accordo sull’af-
fermazione che •botteghe sane e belle potrebbero