

italiani con Pallotta suo maestro e guida.
Sulle colonne di
Ventanni,
con quel suo stile
duro, quasi legnoso a volte, ma efficace come
pochi, fece i suoi primi passi giornalistici per
entrare poi, reduce d’Africa, nella redazione
della
Gazzetta del Popolo
, ove Pallotta sem
brava attenderlo già da tempo. Ma oltre che
assertore delle idee imperiali, era un uomo
deciso d’azione e fu volontario carrista in
Spagna, donde tornò coi segni del valore.
Divenne ancora più chiuso di quanto non
10 fosse già per carattere; ma chiamato a
cariche politiche, accettò e lavorò a fondo nel
popolo, parlando ad operai e a studenti, instan
cabile, senza riposi.
Agli inizi di questa guerra, un giorno lo
cercarono invano al giornale: era partito,
volontario per la terza volta, per il fronte
occidentale. Senza dir nulla a nessuno. E fu
tra i primi ad entrare in Mentone, ritornata
italiana. Finita la breve vittoriosa campagna
alpina, tornò al suo lavoro; serio, modesto,
senza raccontar nulla. Il suo silenzio celava
forse la grande preparazione.
« Voglio... devo tornar via... » mi disse un
giorno. « 0 in Africa o in Albania... Chi può
resistere a star qui fermi... >».
Anche questa volta — e fu l’ultima — partì
senza salutare nessuno; l’indomani era a Brin
disi; tre giorni dopo in linea. Come giornalista,
1 Comando della sua Divisione lo volle con sè;
rifiutò; chiese la prima linea. Lo vollero man
dare come ufficiale di collegamento; rifiutò;
voleva essere soldato. E fu accontentato. Sul
Colico, in uno dei tremendi attacchi alla vetta
della montagna insanguinata, cadde.
Cadde — come han narrato coloro che gli
erano vicini nel momento supremo — alla
testa del suo plotone, serio come sempre,
raccolto in sè, col lampo dello sguardo che
ne rivelava l’intimo fuoco, il volto teso al
nemico. Falciato dalla raffica di mitraglia,
prono alla terra che beveva il suo sangue
generoso, che aveva macchiato la neve della
tormenta che rendeva ancor più aspra la lotta,
chiuse la vita con una firase breve, detta al
suo comandante che voleva rialzarlo: « Muoio,
comandante... Viva l’Italia!... ». Furono le
sue ultime parole.
Augusto Piatole cadde anche lui sul con
teso Colico. Era un poeta, un delicato poeta
che prometteva molto. Ma come tutti i veri
poeti moderni era uomo di azione. Veniva
anche lui come Pallotta, come Bonazzi, dalle
file di Kenl’uniu, ove Pallotta fu anche per
lui maestro di giornalismo e di vita. Ma passò
poi al
Lamkett•
e
ne fu
vice direttore mentre
era
uno
dei dirìgenti del GUF.
Uomo d’azione sempre: Ili, un alpino,
aveva la passione del volo e partecipò ai Lit
toriali di volo a vela. La montagna gli aveva
temprato l’animo e gli aveva insegnato il
silenzio che prepara il pensiero ed il pensiero
che attua l’azione. Figlio di un colonnello
caduto sul Piave, corse al fronte occidentale
e fu « dove faceva caldo ». Ritornò alla piana
con i segni del valore. Poi andò in Albania
e come il cugino immolò la sua giovane vita
alla Patria.
Tutti e tre giornalisti, Pallotta, Bonazzi e
Platone non si limitarono a scrivere e ad inci
tare; quando l’ora suonò partirono per la
prima linea perchè così voleva il loro carat
tere e il loro temperamento di giovani del
tempo di Mussolini: far seguire alla parola
l’esempio era la loro volontà, e come furono
validi uomini di penna, furono validi uomini
di spada.
Chi li ha seguiti da vicino, chi li ebbe com
pagni di questa dura e non facile missione
giornalistica, sa che i loro vuoti pesano, ma
sa anche che nel loro esempio c’è per tutti
il mònito a r ' ,: rare con volontà, con sacri
ficio personale, con tenacia.
Tre sottotenenti torinesi che non torne
ranno più: Pallotta, Bonazzi, Platone.
Pallotta,
primus inter pares
, anche perchè
fu degli altri due il consigliere e il maestro, è
dei tre la figura più luminosa, più pura, più
simbolica. Resti il suo ricordo a lungo tra
noi che non siamo più giovanissimi per rinfre
scarlo ai giovani, che parleranno di lu^
generazioni venture. Cavaliere senza
e senza paura, seppe attaccare a fondo ovun-
3
ue ci foi
lustrare gravi problemi internazionali —
j
sse del marcio, seppe sviscerare ed
specie quelli che riguardavano la nostra Ita
lia — con una chiarezza ed una sagacia da
apparire più di una volta come un preveggente.
Gregario silenzioso e fedele di Mussolini,
fece del giuramento fascista una divisa che
portava con serenità, poiché si sentiva capace
di assolvere la promessa senza rimpianti. Un
puro e per tutti i giovani, quindi, un maestro.
Torino, orgogliosa di questi suoi figli eroici,
li saluterà forse un giorno quando i loro corpi
torneranno da piccoli cimiteri di guerra per
riposare nella terra subalpina, quasi a vigi
larne in ispirìto la volontà di ascesa. E ci
sembrerà allora di vederli passare, come ieri,
per le nostre strade diritte, in apparenza spen
sierati goliardi, ma in realtà organizzatori
di giovani, creatori di entusiasmi sani e
duraturi.
Nelle file della gioventù di Torino ci sono
tre vuoti che dànno una stretta al cuore. I
sottotenenti Pallotta, Bonazzi, Piatane non
rispondono più all’appello.
Tre croci non erette invano sul
della nostra storia.