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S C R I T T O R I P O L I T I C I P I E M O X T E S I

MA S S I MO D’ A Z E G L I O

[.a storia «lei pensiero pulitini piemontese, dalla

Controriforma al Risorgimento, si può di\idere in

due grandi periodi, l'uno che scorre dal 1589 al

1789

rioè da Bolero al Sianda e elle comprende il

ciclo degli apologisti del potere assoluto. e l'altro

che \a dal

1789

al

1848

e elle comprende i propu­

gnatori del potere costituzionale. Nel primo, deca­

dute ormai le soluzioni mondiali contenute nelle

dottrine pont:ficie e imperiali dell'Ftà di mezzo, è

ripresa silenziosamente l'antica tradizione della

Kafiion di Stato

destinata a sostenere per due secoli,

contro le libertà insidiose del riformismo prote­

stante e repulddicano. le parti di Dio sulla Terra:

nel secondo, l'ideale libertario egualitario e mate-

rialist'co della Rivoluzione francese è convertito in

un ideale di risorgimento nazionale onde i nostri

pensatori (liberali dal verbo liberare) secondano il

determinarsi del costituzionalismo monarchico in

quanto vedono in esso il più efficace strumento per

far partecipe il popolo del programma dell'unità e

dell'indipendenza. Lo

stesso

Gioberti, dopo aver

creduto di poter confidare, per l'attuazione di que­

sto programma, nell'iniziativa del Pontefice ed es­

sersi perciò scostato dall'indirizzo generale del pen­

siero piemontese rientra, col

Rinnovamento

, nel­

l'ordine monarchico delle idee.

Massimo d'Azeglio è contemporaneo dell'audacia

del

Primato

e della moderazione delle

S/teranze

di

Balbo. Figli appartiene alla letteratura politica per

una *erie di scritti che hanno un grande interesse

storico perchè «velano le necessità del Piemonte nel

momento stesso in cui urgeva di prendere una de­

terminazione che decidesse della preminenza di un

partito e delle sorti del Paese. Lo troviamo a To­

rino a Firenze a Milano a Roma esule, persegui­

tato ammirato, ufficiale di cavalleria, pittore, gior­

nalista, romanziere, uomo politico. Quando nel

184ó egli s: presenta a darlo Alberto, ha molte cose

da dire. Il suo pensiero nelle tormentate vicende

della Penisola è tuttaltro che trascurabile. Il Re in­

fatti lo ascolta. In I)*Azeglio parla un venticinquen­

nio di esperienze ’n-urrezionali. parla l'ansia di

tutti i patriotti che. avendo compresa l'insufficienza

delle azioni separate, chiedono che da qualche par­

te d'Italia si prenda la direzione di una guerra or­

ganizzata. Carlo Alberto. |wr quanto la sua con­

dotta posteriore fo—e «tata esplicita, in quel tempo

era un mistero. Il

21

e il

32

non erano in

suo

fa­

vore.

Molti avevano abbandonato le

speranze già

in lui riposte. La tendenza allM*rtina perdeva ter­

reno. I)*Azeglio esprime, nel colloquio col

R e ,

la

generale impazienza di atti derisiti. I patriotti han­

no

bisogno

di un rapo. Soltanto il Pienn»nte potrà

guidarli a fare l'Italia. Il Re non ha, nel rispon­

dergli, un attimo di incertezza. Tranquillo e riso­

luto egli congeda l) Azeglio eon queste parole che

sciolgono improvvisamente il mistero del suo sron-

eertante temporeggiare e che contengono un impe­

gno solenne : « Faccia sapere a quei signori che

stiano in quiete e non si muovano, non essendovi

per ora nulla da fare: ma che stiano certi che, pre­

sentandosi l'occasione,

la mia vita, la vita (lei miei

finii, le mie armi,

j

miei tesori, il mio esercito, tutto

sarà speso

/ter la causa italiana

».

Tre anni dopo. Carlo Alberto manteneva la pro­

messa. La prima guerra per l'indipendenza era per­

duta ma restava al Piemonte l'iniziativa della ri­

scossa. Il partito monarrhico aveva vinto.

Se più tardi noi interroghiamo il pensiero poli­

tico di I)'Azeglio, quale ri appare dai moltepliri

srritti. vediamo rhe è dominato sempre dalla con­

vinzione che lo aveva guidato a quello storico col­

loquio: che a formare un'Italia libera e indipen­

dente. i moti separati

sono

inadeguati. Essi non

servono che a rendere più dura l'oppressione stra­

niera e ad impoverire la nazione dei suoi figli mi­

gliori. Pochi congiurati rhe preparano nel segreto

i loro piani, rhe operano senza il concorso del po­

polo. senza collegamenti con le altre parti della Pe­

nisola. senza milizie, senza un programma preriso

e romune sono volati ad un sarrifirio inutile.

In tutti questi moti provinriali e regionali desti­

nati al siruro insuccesso il D"Azeglio vede rhe pre­

valgono motivi di interesse parziale. Perriò, dopo

la sollevazione di Rimini egli scrive: « Il consigliare

gli Italiani a mettere in prima fila la rau*a della Na­

zione. in seronda quella delle singole parti di essa,

non è soltanto ronsigliare a disegni più alti, è indi-

rare un calcolo di puro interesse, è indirare la sola

via rhe possa, presto o tardi, condurri ad ottenere

prima il Itene di tutti, poi, per necessaria conse­

guenza. il bene di ognuno ».

La funzione del pensiero politico di D*Azeglio,

rome quella dell'Alfieri, del Balbo, del Gioberti,

nel quadro generale della riviltà europea, sorge di

rimbalzo alla Rivoluzione franrese. L'ottantanove

aveva posto in dubbio la legalità del potere costi­

tuito. aveva scosso le fondamenta dei troni e sosti­

tuite le farnetirazioni della Dea Ragione ai dogmi

delle fedi melate. Per un bisogno di difesa e di

differenziazione il Piemonte, rhe essendo lo Stato

più virino alla Francia era il più esporto a subire

l'influenza delle dottrine demorratiche e materiali-

etiche di Parigi, esprime i pensatori più antifran-

resi. antidemorratiri ed antimaterialistici della sua

storia. Pensatori legalitari, cattolici e monarchici.

U O N ItM VILLANI