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mente conchiuse da esclamazioni, da figure di

interrogazione. Maria Barbara pregava e scri­

veva poesia, ed ella stessa ci lasciò detto , in

una nota, che quando a sera si ritirava nella

«uà cameretta, e nella penombra, raccolta e

-Mente s’a tta rdava a lungo, non s’avvedeva

di passare dalla preghiera alla poesia. « Forse

ogni poesia è veramente preghiera •>, ella dice

altrove. E come entra negli elisi della poesia, e

della preghiera,confessa: «Il dolore mi si calma

in fondo all’anima, come la sera fra gli alberi

silenziosi . «Cum fulva cinis ero ». È una frase

che si trova spesso nei suoi taccuini. Dolore,

dunque, della inutile giovinezza, dolore della

vita vana, dolore della morte, dolore della sua

fede, come dice De Luca. Eppure chi la co­

nobbe, come risulta, la vide solitamente se­

rena, sorridente, la nostra povera Maria Bar­

bara che sapeva sopportare con ta n ta forza

cristiana la sua terribile croce. In proposito è

significativo riportare il seguente episodio, ri­

ferito da lei in una le ttera: «Quando mi giunse

la recensione di Silvio Benco, trovai mia madre

che la stava leggendo tu t ta in lacrime. Sic­

come so che non è così sensibile ai miei ** suc­

cessi „ e che forse non ha letto nemmeno le

mie poesie, mi spaventai. “ È perchè, vedi —

mi diceva — io credevo, io speravo che almeno

prima (le poesie del libretto recensito erano

tu tte anteriori al 1930) tu fossi s ta ta felice,

che ti avessimo fa tta contenta, è perchè non

capisco...... Poveretta! Ci volle del bello e del

buono per persuaderla che, sì, sono s ta ta felice,

che sono momenti, s ta ti d ’animo passeggeri,

che d ifatti ho scritto pochissimo, ecc. Final­

mente potei consolarla .

Nessuno, in verità, e neppure la stessa

madre, se non in misura infinitamente infe­

riore alla reale, sospettava il lago del dolore

di Maria Barbara. Tanto ella si era chiusa in

sè, col suo Dio agognato. E attraverso una

tren tina di liriche, distribuite in ven t’anni

all’incirca, il risolversi di questa straordinaria

potenza e costanza di dolore in forma d ’arte.

«Che vuoi da me? Perchè sei tu venuto —

sino al cuore del tempio e la mia traccia —

persegui, dell’altare — sino ai piedi, o fra­

tello? È tardi! Un giorno — quando erravo

smarrita al limitare — del tempio oscuro e

muto,

— dolcemente traendomi

per mano

condurmi, ahimè, potuto avresti lungi — dal

tempio, e d’un profano — idolo al piede in­

durmi ad immolare — del Dio vivente i doni!

— Non più non più, fratello! quell’incerto —

passo mi trasse ornai dove s’ignora — del

ritorno il cammino! ».

Così nella lirica XV II. E nella successiva

dei

Canti e preghiere

, dedicata «Alle stelle »:

«Oh no tte arcana! — (ella esclama, con quella

dolce enfasi che non sapremmo non perdo­

narle) — io sento — d ’uno stesso vivente etere

il cielo — vibrare e gli astri e Tesser mio; la

terra — più non appare, un passo, un passo

solo — ad evadere basta — nel firmamento! ».

Quel distacco dalla terra , dalle cose degli

uomini, si compiva in lei, fra gli spasimi, ine­

sorabilmente, compiendosi il suo tragico de­

stino. E pure era e” osi aperta alle bellezze

della te rra , e così pronta a commuoversi la

sua bella anima, per un tramonto, per uno

stormir d ’alberi, per un volar di rondini. Fra

gli ultimi, è un frammento scritto con grafìa

ormai incerta (siamo alla fine: ella mancò il

17 aprile del *34) sul rovescio della minuta di

una lettera d’affari, dove si legge tra l’altro:

«Oh prato azzurro costellato — di fiori d ’oro

tremolanti, oh cuori — accesi, sospesi, oh ali

— divine... ». Che sono parole piene d ’un

fervor gioioso di vita. E più tardi ancora,

frammenti quasi informi: « Stanco è il mio

cuore di seguir la nave — della mia v ita pei

deserti immensi — del mare... Oh stanco

augello che una dura nave... — Oppure: — solo

l’altare... la croce — giorno non vuol rasse­

gnarsi a morire. — Parlare di me solo pre­

gando — le ali delle rondini argentee nel

volo ».

Le ali delle rondini argentee nel volo:

questo volo ultimo, che ella ancora intravede,

come un estremo palpito di luce (delle ron­

dini « che piacevano tan to al papà », come

ella ingenuamente soleva dire). Ansiosa, per

tu t t a la v ita , d’amore, traboccante d ’amore,

Maria Barbara declinò inesorabilmente grado

grado, sino a spegnersi. L’amore terreno ap ­

pena intravide, e ne ebbe fremiti poi tosto

repressi. « Lasciatemi, lasciatemi »— implora

Dio in

Notturno

— chè: « ho bisogno — di mor­

morare cuore a cuor sommesse — parole, come

la colomba; il sogno — al viver mio, Signore,

e la speranza — deh non

negate!

». E in

Pre­

ghiera:

« Ma intanto, ahimè, ch’è doro — il

viaggio e lento il piede, e venir meno — talora

questo vano — mio cuore io sento, mentre