Table of Contents Table of Contents
Previous Page  504 / 1325 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 504 / 1325 Next Page
Page Background

co », ha qui chiaro valore stilistico attraverso la

ritmata, progressiva e mutua qualificazione tra

spazio e leggerezza, materia e luce.

Il

sogno primordiale annunciato dal tempio

impassibile si conclude contemplato in estasi nella

distanza di quei poggi e balconi fragilissimi dove

l’accessibilità e le dimensioni ben dichiarate della

piccola scala umana, ribadiscono in ritmico allon­

tanarsi la rappresentazione di quella brama pla­

cata in architettura.

Invece nei tamburi del S. Gaudenzio il ripetersi

dei colonnati delle logge circolari continua incon­

cluso a ruotare senza risolversi. Anche qui pro­

porzioni tra sovrapposti tamburi, cupola e guglia

non han voce. Invano l'atmosfera penetra tra i

colonnati onde farli partecipi di leggerezza. Solo

rimane quella precisa malinconia delle architet­

ture utopiche del rinascimento: il ripetersi all'in­

finito, uguale dei colonnati sovrapposti del Fila-

rete: i ° stilobate, i ° peristilio, 2° stilobate, 2° pe­

ristilio, attico e così via. È la sopportazione co­

sciente dei giorni tutti uguali e mantenuta nei

canoni di un civismo cosciente e dignitosa ipo­

condria. Tristezza un po’ locale, che interferisce

nel sogno di Antonelli e s’individua nel cadenzarsi

monotono di quell’« ordine * assunto a vestire quel-

l’incoercibile senso di riservatezza e dignitosa

« proprietà » e non solo. Ecco ripetersi all'infi­

nito, alto e lontano, sognante, come in sonnam-

bolica « trance » il ritmo di quegli ordini classi­

cisti, morti, divenuti non già simbolo, ma forma

astratta. Con voce di silenzio, quella della « Me-

lancolia » di Durer, nell’aura già astratta e grigia

di Torino, sonante, si ode lo scandire distante e

inesorabile di quella volontà di grandezza e di­

gnità che è il sogno di Antonelli.

E nel colonnato perimetrale a base delia cupola

della Mole è questo il grave preludio, quasi a pre­

parare il miracolo della liberazione e dell’ascesa

nell’atmosfera, dei quattro giganteschi fusi dello

« Zeppelin » della gran cupola, sul nulla vibrante

degli archi fragili, ultimo perimetro. Dopo è la

prima cesura all’ attacco, irrisolto in tettoia,

della curvatura dei volti sul cubo della gran

base.

Magicità e potenza in grigio: malinconico senso

di immanenza e di silenzio decrepito in una

atmosfera di fiatale e conscia solitudine, eppur

sonora; aura estatica senza tempo, senza ora. Ca­

vallo di battaglia, questo, del gusto surrealista,

ma che da Carpaccio a Cani o De Chirico, da

Paolo Uccello a Dali o Tanguy, da Durer ad An-

tonélli è la malinconia dell’infinito più o meno, o

niente affatto risolta nell’aspirazione di affermare

comunque noi stessi, punto fermo dello spirito

nell’Universo.

« Risvegliato

dal

torpore ferino, uscito dal­

l’alveo oscuro della caverna, comincia per l’u­

mano... ».

già leggerissimo e tra­

sparente si deciderà

nella nettezza di pira­

mide poligona scarnita

dai riflessi del rivesti­

mento e pausata dalla

cadenza dei poggi suc­

cessivi pure poligonali

solo segnati in traspa­

renza delicata di sche­

letro met a l l i co , per

concludere non subito,

ma dopo uno scaltro

contrasto di peso al

q u a r t u l t i m o poggio

nella definitiva libera­

zione dalla gravità nella

delicatezza delle due

logge terminali trapas­

sate dalla luce, dai fal­

chi e dalle nebbie. E il

perdersi con «l’ordine»

nello spazio, quasi a

indiarsi in dignità se­

rena, ma non in ma­

gnificenza, nella luce,

di questo « gotico lai-

C M U ) N O iA JN O