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infine chiara e totale quella concezione attualis­

sima dello scheletro portante su pilastri, indi-

pendente dalla parte inerte e coprente; « ... ri-

partizione delle mansioni *: il muro libero dai

carichi, concentrati ai fulcri, rimane solo leggeris­

sima cassa vuota in funzione di chiusura e riparo.

Concezione che l’Antonelli non solo intuisce e

realizza nella grande acrobazia della Mole, ma

generalizza a sistema nella casa d’abitazione col­

lettiva. Lezione di coraggio civile, ai tempi « dei

muri di 80 », che insieme a quella dell’audacia

vorremmo aggiungere alle tre di tecnica, carat­

tere e coerenza, che quanto mai a proposito pro­

pone il Melis nel suo acuto saggio sull’A. (8).

• • •

Ben altro, come abbiamo già accennato, è il

dramma di Antonelli architetto, chè oltre a quello

della tecnica anche un problema dell’architettura

di A. esiste.

Non grave, ma fecondo fu per lui il retaggio

di tre millenni di esperienza costruttiva, ma ad

orbarlo e togliergli il bene del volo netto e spie­

gato bastò la fine di un secolo: il suo; quello della

confusione delle lingue e della retorica, quello dei

De Fabris, Matas, Conte Mella, Azzolini e le­

gione. Ma inutile è cercar di troppo precisare se

la mancanza di temperatura ambiente ci lasciò

in A. un genio nato in anticipo allo stato virtuale

e alle soglie della grandezza o

se mancò all*

A.

appunto quei genio per trovar la fatidica svolta dei

nuovo evo in tanto caos; quello che c’importa

sopratutto è di vedere se nella landa grigia questi

M

son qualcosa di più che fiori mostruosi e geniali.

Allievo del Bonsignore, architetto del re e neo­

classico arido e spaccato, l’Antonelli nella sua

fondamentale integrità di coscienza, alieno dai

mezzi termini guarderà diritto e sempre al * pro­

totipo * classico come al limite della purezza, al­

l’architettura per antonomasia e a quello ricorrerà

illuso di trovare nell’«ordine * mantenuto a ol­

tranza, la metrica più adeguata alla sua espressione.

Ma se quello è il mondo figurativo dell’epoca

della sua formazione solo parzialmente potrà coin­

cidere con il suo temperamento complesso e in

parte già estraneo al suo tempo; temperamento

dove coesistono sottigliezza raziocinante e quasi

compiaciuta con intuizione e lungimirante accor­

tezza (9), audacia spregiudicata e riservata com­

postezza; qualità che assieme ad una volontà ecce­

zionale si tenderanno al servizio di quell’aspira­

zione di superamento e di legittimo prevalere che

sarà il pericoloso e quasi unico contenuto della

sua poesia e del suo pratico operare.

Come già abbiamo in parte osservato il limite

generale di Antonelli ha radici nel fatto ch’egli

intellettualisticamente s’obbliga a subire elementi

formali che gli appartengono solo per certa zona

del suo mondo, ma che assunti a schema totale

vanno a sovrapporsi senza coesistere non solo, ma

ad annullare quella forma già intuita e inconscia­

mente conclusa in immagine e comunicata, ma

che negata aprioristicamente come tale è ancora

ritenuta prosa; e precisamente quella costruzione

audacissima intesa a conquistare altezza, spazio,

maggior numero e che, ante sintesi, quasi per

intero è il mondo di Antonelli, il contenuto in­

trinseco della sua poesia (10). Per questo la cupola

di S. Gaudenzio rimane quel curioso frammento

di architettura clandestina da cui viene quasi ovvio

formulare paradosso, supponendo che l’A. sa­

rebbe stato grande architetto se avesse pensato

e di conseguenza agito solamente come ingegnere.

Paradosso nel quale è implicita la giustificazione

e l’assoluzione del mito del funzionalismo, costrut­

tivismo, e si potrebbe continuare a identificarlo

con gl’ismi nei quali si è incarnato, e che in pole­

mica si son scalmanati fino a ieri. Sollecitata dal­

l’azione catartica e insieme catalitica di un’ideo­

logia, falsa come tutte, pensata appunto solo prosa,

costruzione funzionante impeccabilmente ed ema­

nante « spirito di verità », « purezza » e simili, è

nata un’architettura autentica la cui qualità sti­

listica trae ben più remote origini che non quelle

dichiara^ dalla mammana. Cronaca di ieri, solo

oggi evidente: e ciò a renderci ragione del come

mai l ’Antonelli, il più vicino a quella salvezza ch’era

al primo svolto, sia rimasto con gii altri perso

nella nebbia del suo secolo. Di queU'indaftarato

e tutt’altro che « stupido 800 » che non d

ha

dato architettura anche se metteva colonne co­

rinzie persino a sorreggere gli elettrodi della mac­

china di

Ramsden.

Alla svolta

era la soluzione

veramente

«classica»

in

senso assoluto.