

per dirla col Brunellesco, per quanto non avremmo
scrupolo di accettare ovvia qualsiasi architettura
fittizia come « funzionale » quando ne vedessimo
la ragione poetica, quell’una appunto fra le ra
gioni dichiarate dal Brunellesco a legittimare la
sua doppia cupola: «... farsi una altra cupola die
fuori sopra questa per conservarla dal umido, e
perchè tomi più magnifica e gonfiante... *. E
«magnificenza * è ancora quella dei fittizi cipol
loni dorati sovrapposti su ligneo castello e chiusi
alla vista daH’intemo dalle cupole struttive sot
tostanti della basilica di S. Marco. E infine non
varrebbe il fatto di voler preservare dall’umido
le interne cupole antonelliane in quanto queste
son sospese e già staccate per tutta la loro su
perficie dal portante cono che, chiuso a vetrate,
rimarrebbe esterno. E a dimostrare empiricamente
valida l’asserzione di inutilità estetica basta pensar
libero verso il cielo lo slancio del castello interno
con semplice opera di ablazione dell’inutile sovra
struttura classicistica. Nelle sei cupole di S. Gau
denzio rimaste e così dichiarate potremmo rico
noscere i segni legittimi del precursore da sosti
tuire al nome di un Berlage. Non solo costruttore,
ma architetto. E ciò in quanto quell’intemo orga
nismo, cosciente o meno l’architetto, non ci inte
ressa, trascende l’ancora inerte e impersonale
ritmo della materia organizzata dalla sapienza del
l’ingegnere, per spiritualizzarsi in sentimento; au
tentica architettura che purtroppo rimane segreto
frammento.
In sostanza come sistema statico brutale S. Gau
denzio non ci rappresenta nulla di nuovo; schema
quasi identico ha la cupola del Wren del S. Paolo
di Londra e più ancora, in essenza, quella del
Panthéon del Soufflot. La genialità deH’Antonelli
anziché scostarsi da quegli schemi, ultimi nella
storia della cupola in muratura, li esalta in altezza
e fragile leggerezza. Adunando, ultimo erede,
l’esperienza essenziale di tutta la storia della mec
canica muraria, ce la restituisce con un’audacia
senza precedenti, che ha del terribile.
Come di frequente l’architetto che teorizza d’ar
chitettura, l’Antonelli equivoca tra tecnica e arte,
e nel ripetere al Bordiga che «ogni costruzione
ha da essere come di vetro, talché di fuori si indo
vini l’interiore » (
5
), onesto uomo, ma del suo
tempo, non si discosta da quella famosa precetti
stica « funzionale » fonte fino a ieri di tanta pole
mica. Poetica falsa in assoluto quanto feconda,
valida e concreta di risultati in sede di reazione;
poetica già in armi dal
700
che accomuna tratta
tisti neoclassici e romantici, dal Lodoli all'Alga-
rotti. dal Winckelmann al Semper, dal Milizia al
Viollet le Due « ... poiché l’architettura è nata
dalla necessità, tutto il suo bello deve prendere il
carattere della necessità... onde tutto quello che
si fa per mero ornamento è vizioso... quanto
è
in rappresentazione deve essere sempre in fun
zione» (
6
). Sembra il
Corano delia «Neue Sach-
lichkeit»;
invece è semplicemente il aedo del
Milizia e non solo; ma di quanti altri fino ai nostri
giorni, credo sempre e inconsciamente tradito in
atto anche nella sola sua legittima funzione catar
tica dagli stessi banditori. Come infine anche
l'Antonelli faccia precisamente il contrario di