

INCANTO E VOLONTÀ DI ANTONELLI
Risvegliato dal torpore ferino, uscito alla co
scienza dall’alveo oscuro della caverna, comincia
per l'umano quell’invero illustre guerra tra il
genio costruttivo e la gravità, guerra mossa dal
sogno inesausto di potenza, di racchiudere e do
minare sempre maggior spazio con unico volo,
alto o radente, e insieme fare di questa pratica
d’audacia, in uno coi suoi ingegni, vocabolo di
poesia, espressione di sè in contemplati e interiori
ritmi: architettura. Dominare e racchiudere spazio
con sempre minor spreco di mezzi e con i più
sottili appelli alla leggerezza e alla organizzazione
di una materia sempre ritrovata è la cronaca di
questa avventura della
costruzione;
cammino pa
rallelo verso l’ellissi della materia di molte delle
umane e pratiche attività, procedere assintotico
verso quella sorella nobile dell’economia, quel
l’ideale
elegantia
che, se come tale nulla ancora
ha in comune con la poesia, è sovente ragione non
ultima del suo mutare e divenire.
Affrancatasi dal « totem * del castoro, alfine ri
dotto a inferiore gerarchia nel suo necessario e ani
male industrializzarsi libero anche ai giorni nostri
di abbandonarsi al vizio dell’inflazione del «b i
sogno » e ancora di credere arte la perfetta solu
zione di un problema biologico, la pratica struttiva
s’inizia con l’alzata celebrativa dei megaliti in
formi, scrupolosamente messa agli atti nel Deute
ronomio, per concludersi nell’esibizione brutale
del dolmen, sforzo agli inizi non certo ancora
molto elegante, primo sistema costruttivo che avrà
la sua morte vera se non ufficiale tra le sottili e
intoccabili modulazioni di quel tempio greco, in
larva continuamente risu
scitato. Dal trilite sempre
presente il cammino della
struttura procede lento;
se uno è il sogno mec
canico pochissime sono le
scoperte e secoli le oc
corrono per evolversi e
farsi adulte. L ’ ultima,
quella del cemento ar
mato, pomo fecondo di
discordie è ottantenne e,
con buone pace dei tifosi
rimasti al ritmo progres
sista
del
ballo Excelsior,
ancora rozza
e ingenua.
Alla
vigilia Antonelli,
chiusa nel segreto del suo
cuore la follia di un esa
sperato superamento, ri
masto al di là del nodo
tra
bizantine e geniali
acrobazie e le miriadi dei leggendari suoi mattoni,
ognuno pesato e sagomato, additava.
L ’ultimo dei Moicani.
In una direzione
è
il lento volgere di millenni
di pratica costruttiva: portare quella materia dove
è
d’uopo e con sempre maggior precisione e di
adatta natura. A quella del trilite succede la sco
perta prodigiosa dell'arco, sempre per opera del
genio di quell’ignoto, inventore oltreché del gri
maldello e altro, di quella meraviglia che è la ruota.
L ’invenzione del mattone attendeva dall’oriente la
sua ora; la materia divisa e maneggevole, modula
bile, si presta al miracolo della volta: la corda è
superata d’un balzo, senza pilastri intermedi. Se
condo la sua natura la materia è solo
compressa.
Il sogno si esalta nell’ansia di coprire gran spazio
con il gusc
j r pesante agli occhi nostri, ma
quanto più sottile e leggero della litica piattabanda.
Fioriscono le cupole di Roma e di Bisanzio.
Ma l’arco o volta prende vita e bellezza dal suo
stesso difetto di nascita, di qui il suo espressivo
linguaggio di potenza: la spinta all’imposta; ed
ecco dapprima la forza greve del piedritto o del
muro perimetrale, massiccio schiavo a contrastare
questa spinta. Roma e infine i «meccanici * bizan
tini si struggono a eliminare con mutuo contrasto
di volta opposta a volta e scaricare in fine alla
solida madre terra questa dannazione onnipre
sente della spinta. Dalla necessità di concentrare
gli sforzi, con la « nervatura », comincia a farsi
strada il principio della ripartizione del lavoro.
Infine il gotico, loico e fervido affronta sottile,
quasi febbricitante, quella volta informe e pressoché
in concrezione, già avuta
in sesto acuto attraverso
il romanico e tra gram
matica e slancio, giudica
e manda spinte e carichi,
scinde le funzioni fino
allora quasi indistinte;
l’inerte materia coprente,
leggera, si separa dallo
scheletro portante: ripar
tizione del lavoro secondo
meritorie gerarchie e pre
cisi incarichi secondo at
titudine. Le nervature di
questa volta tirata in ver
ticale al sesto acuto, deci-
a eliminare la
raggio
t
yinta,
longilinea
U «Hni>M coincidente o
meno con il luogo co
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slancio
verso il Sonore,