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ressati » al prodotto. La realtà però è ben

diversa.

Nell’analisi degli interessati è opportuno

tenere presente la divisione del prodotto in

« confezioni di massa » (fino a 250-300 lire

al massimo, prezzo al pubblico) e in « confe­

zioni di qualità » (da lire 300 in su). E ciò

perchè vi sono in effetto due grandi categorie

di consumatori psicologicamente diverse: quel­

la di coloro che si rivolgono al pubblico stan­

dardizzando unicamente per il fattore « prez­

zo »; e quella di chi, avendo del proprio abbi­

gliamento un concetto elevato consideran­

dolo come elemento della propria individualità,

se si rivolge alla confezione pronta, bada

sopratutto alla qualità.

I

primi appartengono alle classi rurali,

operaie, piccoli borghesi; i secondi alla media

ed alta borghesia.

L'industria delle confezioni in serie è sorta

in Italia poco prima del 1890 a Torino, ma

ha raggiunto una certa importanza di impianti

e di produzione solo dopo la prima guerra

europea. Tuttavia ancor oggi non ha, nel suo

complesso, una struttura rilevante, una con­

figurazione netta, evidente, una funziona-

bilità inquadrabile entro linee chiare.

Risente ancora in un certo senso dell'erraia

impostazione produttiva iniziale che ne impedì

la solidificazione nel quarantennio che giunge

fino a circa il 1930; cioè la cattiva qualità dei

manufatti come tessuto e confezionatura, la

scarsità delle « taglie » e delle foggie dei capi

« pronti ». E se l'industria nazionale non avesse

dato, a un certo momento, un risoluto colpo

di timone ai suoi tradizionali concetti produt­

tivi — in ciò forzata dal successo della con­

correnza straniera (inglese particolarmente) —

sarebbe fallita.

Con felice definizione si è chiamata « l'in­

dustria pesante » dell'abbigliamento; ma que­

sta definizione calza soltanto se riferita alla

sua natura, non ancora se riferita alla sua

attuale struttura. È questa un'industria che

per le sue finalità ha bisogno di attrezzature,

capitali, organizzazioni di vendita permesse

solo a grandi aziende; ed invece le imprese

a carattere familiare o anche « sociale » di

piccola e media proporzione ne costituiscono

numericamente la maggioranza e, produt­

tivamente, l'ossatura.

La stana della formazione dell'industria in

genere, insegna che essa è sorta dalla trasfor­

mazione lenta e progressiva dell'azienda arti­

giana in imprese a più larga base, sempre

più vaste e complesse; e che questo processo

evolutivo non ha subito arresti nè ritorni

alle forme primigenie.

Nell'industria delle confezioni in serie, si

verifica, invece, proprio in questi tempi una

specie di arresto evolutivo, perchè sono torte

a

e continuano a sorgere piccole e medie aziende

produttrici anche a carattere familiare, che

si aggiungono alle troppe già esistenti della

stessa potenza e alle numerosissime pseudo­

industriali, che pullulano un po' per tutto

il Regno, particolarmente nel campo degli

impermeabili di poco prezzo.

Tenuto conto che sfuggono ad ogni pos­

sibile controllo ed esame tutte le piccole

aziende a influenza ristretta nel loro ambito

locale; ed anche buona parte di quelle a

carattere padronale, presso le quali si potrebbe

condurre un'abile indagine eoa calma e metodo

sotto l'egida di un Ente riconosciuto, come

l'Ente Moda, per esempio, si possono consi­

derare le anonime per le quali qualche dato

maggiore è fornito dalla lettura dei bilanci.

Intanto si può rilevare che su 95 bilanci

di società anonime per l'industria e il com­

mercio dell'abbigliamento, chiusi al 30 giugno

1937, numero 54 sono attivi, con una media

di utile del 6,30 % (capitale sociale di queste

54 aziende: 46.200.000); e numero 41 sono

passivi con una perdita media del 7,26 %

(cap. soc. 10.705.000).

Si può aggiungere che nel 1938 sono state

poste in liquidazione e liquidate n. 16 anonime

per un capitale totale di 2.078.000. Tredici

di queste hanno perso l'intero capitale (Lire

1.238.000), e 3, per globali L. 151.000 di capi­

tale dato un reparto del 7,3 %, con una per­

dita quindi del 92,7 %.

Alla fine del 1938 le società anonime della

categoria erano 149 per complessive Lire

91.188.000 di capitale.

Il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, la

Toscana, il Lazio e la Campania sono i centri

di produzione.

Torino vanta il primato, non soltanto per

avervi sede le due più grandi organizzazioni

del settore (Tescosa, 20 milioni di capitale,

1050 operai; FACIS,

2 1

milione di capitale,

1100

operai), ma per il numero di altre ditte

affermatissime come la I.C.A. (610.000 lire

di capitale, 140 operai), la Caesar (1.000.000

di capitale, 160 operai e ora in via di sviluppo

col nuovissimo reparto « confezioni da ragaz­

zo »), la L.A.U.S. (90 operai), la Giovanni

Rotta (75 operai), la S.A.C.U.T., ecc.

Nella provincia di Cuneo esiste un altro

raggruppamento a Bra e Mondovì dove l'abi-

tificio fiossi impiega 350 dipendenti.

Nel complesso la maggioranza delle aziende

ha mercati limitati alle regioni immediata­

mente vicine alla propria. A mercato nazio­

nale sono poche e naturalmente le maggiori.

Come produzione non c'è specializzazione

che in pochi casi (abiti da lavoro), si può dire

che tutte le ditte di confezioni in serie fab­

bricano tutti gli indumenti: perciò la con­

correnza è forte e ai batte con anni comuni