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dell’esterno è ad aiutare la salvezza di quelle volte,

definitivamente premuto e fermato

dall'alto,

al­

l’estrema imposta, dalle agili guglie in drammatico

equilibrio, suddivise all’infinito nella decorazione

tra brulicare di santi e foglie d’acanto; svelte e

piccole cattedrali anch’esse in ascesa osannante a

dissolversi nel cielo, in quell’armonia infinita mossa

dall’«Amor Divino ».

I

muri perimetrali liberati alfine dalla maled

zione della spinta si aprono al colore delle sacre

storie in vetrate immense.

Dalla selva infinita del gotico, da questa «Summa*

mistica elegantia delle mansioni ripartite e dichia­

rate in poesia, Brunellesco avrà la visione del come

« voltare » la sua cupola che, con quella di S. Pietro,

sarà la gloria della Rinascenza: nascono le grandi

cupole leggere a doppio guscio su nervature che,

attraverso l’articolarsi del barocco, l’arabesco estroso

del Guarini, la pompa del Wren, rimarranno in

essenza immutate fino a ieri, fino a quelle degli

Invalidi e del Panthéon di Parigi, fino alla rivo­

luzione di Antonelli: la Mole di Torino.

portano nervature di secondarie volte, e se fosse

possibile ancora divise in ulteriori gerarchie di

volte e nervature all’infinito: l’ordine della natura.

L ’universo colto in un triangolo circoscritto da un

altro triangolo e così successivamente verso la

grandezza infinita; inscritto è anche un triangolo

nel quale si inscrive un minore triangolo e così

successivamente verso l’infinitamente piccolo. Così

è tutta l’ossatura e ia decorazione implicita.

La condanna dell’arco, la spinta, dichiarata e

riscattata a poesia, emigra ai fulcri sottili dei pie­

dritti a fascio di infinite colonne ognuna addetta

a quella tal nervatura; e l’arco rampante al sole

* * *

Il

procedere dell’esperienza costruttiva che n

arbitrariamente abbiamo voluto cogliere nelle sue

più riassuntive e impegnative espressioni del

tempio e della cupola ma che, facilmente po­

tremmo dimostrare, informa nell’intimo ogni altra

costruzione più o meno coeva, ha quella princi­

pale

tecnica

mèta di cui appunto l’Antonelli è il

solo, in mezzo allo spreco e alla babele deH’ultimo

ottocento, a comprendere il significato tecnico

e morale insieme, almeno in parte. Inesorabile

cercò di proseguire quell’esperienza; scaltro e in­

sieme cosciente di audacia, come per ordine di

un evo esausto, ormai senza più altro destino di

un testamento, e illuso di trovare in lui l’esecu­

tore, quel necessario genio bifronte che lo riscat­

tasse dai senili barborigmi e gli chiudesse gli occhi

in gloria.

* * •

Portare a zero quel rapporto tra forza e resistenza,

condizione di equilibrio della macchina, e questo

zero sia verificato in ogni punto della struttura.

Questo il sogno di

A.,

sogno lapalissiano e mille­

nario dell'uomo costruttore. Molto semplice a

dire; ma a dimostrarne il difficile assunto basta

pensare al rapporto tra peso e resistenza di una

canna di bambù, alla distribuzione e natura con­

tinuamente cangiante della sua materia; alla strut­

tura interna dell'epifisi superiore del nostro fe­

more (i). Basta pensare a quanto ancora è lontana

al confronto la fusoliera di un aliante dalla gabbia

toracica dell'airone: integrale della precisione, ma­

teria acconcia là e dove bisogna, e in misura solo

necessaria; massima forza e minimo peso:

eie-

ganlia.

Basta pensare ancora di quanto a sua volta