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S. Gindim io - Vitti M U p u t ì capala iartanu tra caataNa caaica

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poiino che a sua volta riproduce in scala mi­

nore il meccanismo pianimetrico della cupola.

Una canna cilindrica, pure traforata, svetta dal

vertice del cono percorsa in vite esterna dalle

pedate a ventaglio e a sbalzo della scala a chioc­

ciola finale, circondata in delicatezza e lasciata

visibile dal fragile doppio giro dei fulcri finali

intenti a portare trepidi l’ultimo ballatoio circo­

lare e sull’estrema guglia, finalmente, la statua

del Redentore librata nella sfera di granito rosa

a 122 metri verticali sulla pianura di Novara.

• * •

L ’altezza

è

conquistata e il maggior spazio rag­

giunto in bellezza. Quella enciclopedia della co­

struzione muraria con tanta sapienza e organicità

qui adunata non rimane cieca meccanica,

chè

il

tumulto di tanta brama al salire si placa attraverso

il concento in chiara voce della ordinata moltitu­

dine degli archi nudi, intenti lungo le nervature,

direttrici di volo, ad alleggerire l’ascesa

del

gran

castello conico e a segnare in battuta il progres­

sivo stringersi

della vicenda lassù, al nodo ner­

voso del vertice che

tutti

li adunerà in unica voce

e di dove, neH’intervenuto silenzio di una pausa

trepida, da tanto aiuto ne sorgerà un’altra nuova

e sola a conchiudersi netta e misurata, modulata

dalla spira della scala, in guglia terminale. Le

cupole interne librate nel cavo traforato del gran

cono, sovrapposte e digradanti, contemplano.

Ma raggiunta la meta, piramide volante degli

angeli in coro, le interne cupole in levitazione,

l’acuto trillo finale, tutto è spento dalla gran cappa.

Ossequiente all’aulica retorica di uno schema

storicistico e formale ecco l’Antonelli solerte a

nascondere ogni incanto con la sovrastruttura di

quell’inutile secondo ordine di peristili e stilobati

e con la cupola esterna che, pur mirabile guscio

sottile, non fa che aggiungere nuova uniformità al

tamburo iniziale per terminare in squilibrio to­

tale di proporzione a contrasto con l’aerea com­

piutezza del «cupolino * terminale. L ’altezza non

è più conquistata in serenità, ma usurpata. Nè

vale l’obbiezione, che subito ci poniamo in sede

tecnica nel dirci che il peso della sovrastruttura

esterna col suo caricare all’imposta i fulcri del cono

interno ne elimina in parte la spinta, chè proprio

l’Antonelli, in fatto di disporre chiavi e tiranti

metallici fu primo maestro, e nella stessa fabbrica

non son pochi gli esempi. Questo a non voler

adoperare l’accorgimento del gotico, tanto dalla

ragione (e solo da quella) dell’Antonelli avversato:

una corona di pinnacoli contrastanti che avrebbero

a nostro avviso, sulla goticissima struttura sopra­

lodata, fatto un bellissimo vedere. Ma del senno

del poi son piene le fosse. Tanto meno riteniamo

valga in sede estetica una necessità di « gonfiezza »,