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E non è l’abnorme che fa «brutta*

la fabbrica antonelliana e nemmeno

«lo stile freddo » che giudicando in

astratto,

o

secondo precettistica e

gusto

sia pur legittimi ai casi suoi,

l’architetto d ’oggi, non vorrebbe che

ci tosse. L ’innesto classicistico di

elementi formali non propri ma

composti nella corrispondente sin­

tassi (strutture trilitiche e soprat­

tutto spingenti),

dichiarata

come

unica valida alla visione, ma nella

quale segretamente comanda un’al­

tra

occultata

(strutture in tensione),

provoca quella deformazione inco­

erente che è appunto la causa prima

di quella disarmonia che diretta-

mente s’accusa alla visione, già im­

ponente nelle sproporzioni delle

masse cardinali e che s’accentua

in contrasto al paragone con le

particolari, rimaste armoniche nella

loro sia pure non raffinata osser­

vanza dei canoni d’origine. Disar­

monia e oscura inquietudine, insod­

disfazione subito avvertita anche se

si è laici e non si conoscono tecniche

(come non è necessario, ma però

utile, checché si dica, all'intendere)

e nemmeno i limiti deU’intervallo

nel quale sono sempre valide quelle

primordiali e implicite armonie,

an­

cora natura,

che reggono quella par­

ticolare metrica prescelta a comu­

nicazione. Limiti entro i quali è

giocoforza che l’architetto si pre­

cisi e individualizzi modulandosi in

poesia.

E quelle leggi della materia sulle

quali si è insistito al principio, vali­

dissime a dar

metrica,

armonia pri­

ma e di natura, ancor numero e non

sentimento, ma non ancora scoperte

come tali ( i i ) se pure inconscia­

mente usate a tanto, occultate in

serve padrone, sconvolgono quella metrica classici­

stica assunta come unica valida a esprimere in

totalità quel contenuto di maggior numero e di

potenza che pur con tanto armeggiare d’ingegno

l'A. si sforzò di elevare a poesia. Scomposte le

dichiarate gerarchie, la sua architettura solo « com­

posita », incapace di placarsi in nuovo ordine,

nemmeno si disarticola in « verso Ubero »; la sin­

tesi, impedita, non si opera che a frammenti.

Il

passibile

gran gioco di fondazione di forza di

una

nuova dinastia fantastica fallisce; e da queste

nozze tra avventuriero e millenaria nobiltà nascon

giganti dignitosi e melanconici, ma non retorici, cfaè

i

ansu di stohdzzani rimane segreta megalomania.

Nè vale, come

tbbum

già dello, appone

•esempio ai opere concime oowe ■ contrasto

delle metriche si risolve sempre

concreto spostandosi deciso l’ac­

cento a scultura; e dove la costru­

zione, anziché limitare, libera la

sintesi in nuovi ritmi. Le architet­

ture rupestri di Petra ci dànno

in nuova magicità la realizzazione

materiale della impossibilità della

pittura murale di Pompei; molte

pagode indiane, come quelle di

Mahavellipore, sono addirittura a

cupola

piena,

sculture costruite.

In Antonelli vi è coesistenza in

contrasto. Il sorgere delle sue fab­

briche è inopinato pur senza la

nettezza incisiva dell’obelisco, della

Garisenda o della Torre di Pisa e

nemmeno ha la preparazione nel-

l’argomentare delle volte perime­

trali del caso opposto di S. Sofìa

di Costantinopoli che si risolve vi­

sivo in ritmo crescente e progressivo

.o a pacificarsi nel « largo » della

cupola maggiore. Ed è al nasci­

mento che maggiormente sono viste

irrisolte le architetture antonelliane

appunto là dove è maggiore l’influ­

enza segreta del sovrapposto schema

meccanico e insieme maggior gloria

di A .: ai piedritti non spingenti. La

costruzione si «pianta *, non « sor­

ge *. E a questo proposito è inte­

ressante vedere come invece un

mondo chiaramente risolto invece

in grandi ritmi

spaziali

e pianime­

trici è nel gruppo di cupole simili

di profilo alla Mole Antonelliana,

ma di miglior proporzione, legate

tra loro dal ritmo progressivo e

preparatorio della comune zona del

tempio basamentale, della pagoda

immensa di Ananda in Birmania

(Pagan). Non vogliamo certo dire

con questo quale architettura An­

tonelli d avrebbe dovuto dare; chè

solo lui avrebbe potuto dircelo. Lungi da noi

pertanto l’esigere un sistema plurimo di Moli An­

tonelliane.

In definitiva la causa del limite di Antonelli

è

anche nel dualismo che informa la fine del suo

secolo: grande fede nella scienza, determinismo

scientifico o meccanico e conato di evasione ro­

mantico verso un mondo di bellezza perduto

e

da quella scienza appunto restituito in

cronaca;

culturalismo. SfiwiM e ornamento.

Capriata in

ferro

a traliccio con

foglie

d’acanto a

merletto

in

lamiera stampata

(

12

).

Dualismo che in An­

tonelli

m

individualizza nel dignitoso pudore di

una riserva r lw in nel sogno mmwtico di po­

tenza, ascesa e materne, come vedremo, virile

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