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Il “

drata. chè tale era ri­

chiesta per l’organa­

mento degli ambienti

perimetrali alla base

del tempio israelitico,

su 20 fulcri periferici,

ormai inutili i tradizio­

nali pennacchi, s’impo­

sta la gran volta a padi­

glione in sesto acuto

costituita da un doppio

guscio di laterizio di

12

centimetri reso tut-

t’uno da un sistema

cellulare formato dal-

l’intersecarsi di nerva­

ture collegantesi inter­

ne, nell’ intercapedine

fra guscio e guscio. Da

ognuno dei 20 piedritti

si diramano due di

.

queste nervature, cia­

scuna diretta in oppo­

sta curva parallela a

uno spigolo della volta

in modo tale che ogni fuso della volta risulta

nervato da un sistema reticolare di archi ogivali

correnti nell’intercapedine e tra loro intersecan-

tisi; ancora una terza nervatura parte verticale

da ogni fulcro quasi a proseguire nel volto

stesso e percorrerlo meridiano a incontrare le pre­

cedenti intersezioni. E ancora i due gusci sottili

sono collegati da un sistema contrastante di chiavi

in ferro e di archi dritti e rovesci: ogni spinta

all’imposta, ogni flessione dei quattro fusi for­

manti le quattro superaci di questa volta quasi

respirante, è impedito da cinque ordini di catene

di ferro ripartiti a differente altezza e disposti in

guisa da trasformare i lati corrispondenti dei telai

quadri o sezioni orizzontali della cupola in al­

trettante travi armate contrastanti la spinta dei

relativi quattro fusi della volta. E l’«inviluppo*

di questi tendini è talmente disposto da meta­

morfosare quasi la sezione resistente da telaio

quadro in superficie anulare.

Questo in essenza l’organismo statico della nuo­

vissima cupola a «ossatura mista», dove l’equi­

librio è affidato alla leggerissima volta alveolare

di sezione ogivale e perciò già di ridotta spinta,

in collaborazione con i sistemi elastici di « materia

acconcia là dove bisogna e in misura solo neces­

saria ». Meccanica che ha permesso di caricare la

cupola in chiave non con l’usata lanterna, ma

addirittura con un tempio a ordini sovrapposti e,

come se non bastasse, dalla sommità di quest’ul­

timo cominciare sia pure con incertezze formali,

la nuova ascesa con la fragile e quasi immateriale

guglia altissima ritmata dalle trasparenze di nove

ordini sovrapposti tra logge e veroni. E trala­

sciamo l’analisi degli innumeri « ingegni • usati a

librare in leggerezza quest’uhima

Tutto lo scibile costruttivo del tempo è portato

a conseguenze estreme secondo quel filo condut­

tore di cui al principio di queste note abbiamo

cercato di scorgere la meta: « Portare a zero quel

rapporto tra forza e resistenza... ». La struttura

si trafora e svuota e la materia scelta eterogenea

emigra ai centri di lavoro secondo la natura degli

sforzi richiesti. Infine per la prima volta il ferro

è impiegato sistematicamente là dov’è tensione e

basta un passo perchè, divenuto solidale con la

materia sollecitata a compressione, si metamorfosi

in cemento armato: anzi lo è quasi: « un complesso

di tiranti invisibile,

immerso nella massa

delle mu­

rature stesse, ne completa la solidità... » (7). La

fabbrica diviene un sistema elastico soltanto pe­

sante anziché spingente: ne consegue la minima

massa di piedritto resistente.

Nella Mole Antonelliana il «grado di economia »,

rapporto tra area occupata dalle strutture di pie­

dritto e area totale coperta, raggiunge un limite

di 0,0361 solo di recente superato dalle «Halles

Centrales » di Parigi coi noti mezzi odierni. Risul­

tato

stupefarete

se si pensa che astrazion fatta

per l’indice * o quasi, invero poco economico del

megalite e delle piramidi d’Egitto (e anche fuori)

si passa a 0,226 della cupola di S. Pietro, a 0,155

di quella di S. Paolo di Londra, a 0,173 di quella

di S. Maria del Fiore e che, per es., in quest’ul-

tima il Brunellesco ha tenuto gli spessori medi

della cupola esterna e interna rispettivamente di

metri 0,58 e 2,70 in confronto ai 12 centimetri dei

due gusci della Mola Antonelliana. Si verifica