

d'angolo, tutti i giorni, tra il tocco e mezzo c le 15 pre
cise, un signore pallido, magro, taciturno e dallo sguar
di' tra altero e pensoso, dalle bellissime mani bianche
e trasparenti. Entrava senza tar rumore, salutava con
un cenno della mano Contratti e con un altro Balbo
e Vialardi. Si sedeva, sorbiva lentamente il caffè, poi,
attento, ascoltava le discussioni politiche e teoso
fiche.
Non lo interessavano le clamorose concioni futu
ristiche di Petrella 111 polemica permanente coi pittori
Anacleto Boccalatte e G iovanni Grande. Fresco di
Torino, ignoravo chi mai fosse quel signore così
distinto e così solitario. Ne chiesi notizia al conte
Balbo, dilettante di pittura e di scultura. Mi rispose*:
« È un artista tisico, dignitosissimo. Mi pare di
pinga molto bene.
Br,ir omm.
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(ria imi.
Si chiama
Federico Boccardo. Espone raramente ». Ero, allora,
agli inizi della mia attività di cronista d ’arte: ero il
vice, alla « Stampa », del compianto Enrico Thovcz.
Gliene parlai. L'austero scrittore poco l'apprezzava:
considerava B ixcardo un miniaturista o poco più.
La gentile figura 1111 aveva subito affascinato. Un
giorno osai presentarmi per pregarlo di farmi cono
scere qualche suo dipinto. Parve stupito della pre
ghiera. « Non ho nulla che la possa interessare... Il
pubblico, i critici e gli artisti non si curano di me:
io non mi curo di loro. Sono molto malato. Ho sempre
la febbre... tinrchi la mia mano... *. Toccai timida
mente la destra del pittore. Umidiccia. Boccardo mi
strinse fortemente la mia e riprese: « Però faccia come
vuole... L'aspetto domani allo studio, dopo le 15.
Vedrà poche cose. Non dica nulla a Thovcz. Thovez
1111 ignora: torse non 1111 considera 1111 artista. A Thovez
piacciono BoecUin, Burne Jones, Dante Gabriele Ros
setti, perfino Kliint, perfino Bistolfi. lo li detesto! ».
Poi, torse notando sul m io volto una certa impres
sione per quel giudizio così crudo, senza però nè
rettificarlo nè addolcirlo aggiunse: « Lei non mi co
nosce. Badi bene: non sono nè invidioso nè feroce.
Nessuno 1111 apprezza, tranne mia moglie. Fin da
ragazzo sognavo di diventare almeno 1111 piccolo
artista. Sono rimasto un aspirante pittore, turbato e
trepidante. Ma torse la mia penosa scontentezza è una
fatale necessità •.
Ho ritrovato questi ed altri miei appunti sui colloqui
al « Fiorio » col povero Btxrcardo. Fogli ormai ingial
liti di un quadcmuccio. Sono note rapide, fatte col
proposito di ricordare con lui, 1111 altro pittore m ol
to buono, umilmente sdegnoso di tutto e di tutti, un
mite fanatico dei tetti, dei campanili e dei com ignoli
della vecchia Torino: Francesco Garrone, uomo miope
e strambo, piissimo adoratore notturno, che ogni
giorno, estatico e trasognato, alla prima messa del
«Corpus Domini» si avvicinava alla Mensa Eucari
stica. e mistico a modo suo, 1111 tu compagno in pelle
grinaggi a Lourdes e al Monserrato di Sant'Ignazio.
Il Garrone che lasciò tutto il suo patrimonio al « C o t-
Cappuccetto nero - 1910
Famigha
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P iccola cu cilrice - i>x>7
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