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I

casi alle volte drammatici della mia vita, le

avventure vissute tra gli uomini hanno tatto nascere

in

ine

lo riconosco — una baldanza fuori di posto.

( he poteva essere per me un leone? Del resto il mio

pronto intuito aveva subito compreso che tra lui e

me c erano anche delle sbarre di terrò.

Mi avvicinai dunque alla gabbia. La mia prima

mossa deve essere stata un po ’ gotta. Nè sono da

rimproverare. Fino allora non avevo visto dei re che

in oleografia o da lontano. C redo ad ogni modo di

non essermi comportato troppo male. Mi scoprii il

capo e dissi distintamente:

— Maestà...

Un altro re aveva espresso il desiderio di parlarmi,

qualche anno prima, ed io cercavo nella mia me­

moria le parole elaborate per quell'incontro che non

avvenne. (Non avvenne, sia detto tra parentesi, perchè

ai « rivoluzionari *> del tempo taceva orrore un con­

tatto del genere. Parve cosa lecita quando più tardi

accettarono loro l'u n ito ). Stavo per incominciare il

mio discorso, ma Solimano mi interruppe nella ma­

niera più efficace. Balzò sulle quattro zampe, rive­

lando la sua torma e la sua possanza. Poi si avventò

contro le sbarre, ed in breve, lo stanzone tu pieno di

ruggiti laceranti in tono crescente.

— Solimano — provai a dire con quella pacatezza

che è garantita da ferri solidi, — ci deve essere

equivoco...

Ma il leone pareva non amasse storie. Andava

e veniva infunato, lanciando all'aria nuovi potentis­

simi ruggiti. Ne tremavano 1 vetri e le pareti del

locale.

Mi sentivo interdetto da quell'accoglienza poco

amabile.

Anche la custode ebbe l’impressione del finimondo

e si precipitò a vedere quel che accadesse. Ed ecco

che, al suo apparire, ebbi una nuova riprova della

potenza temmimle. La donna aveva preso l’abbrivio,

molto tempo addietro da un giardino, nell Eden e

non si era fermata più. Persino il leone ne aveva

sentito il fascino.

La sopraggiunta, anche per questo intuito psico­

logico donna, non si volse duramente verso Soli­

mano. Lo chiamò invece per nome più volte carez­

zevolmente. Quasi d’improvviso quella voce lo quietò.

La vastissima bocca si richiuse. L’atteggiamento ag­

gressivo cessò, come per incanto. Ma dovevo assistere

ad uno spettacolo ancora più inatteso.

Il leone, poco prima infuriato, pareva volesse

accompagnare le cadenze della voce femminile e si

diede .1 percorrere il pavimento della gabbia con

passo ritmico. Ebbi il sospetto che tosse stato a scuola

dalla Ruskaja.

Dopo quel mattino rividi Solimano quasi ogni

giorno. Entrando in laboratorio la prima visita era

per lui. Vedendomi più di sovente, si convinse che

11011 era il caso di dare troppo peso nè a mè, nè ai

miei discorsi. Mi lasciava quindi parlare. Ma in tondo

1111 tollerava semplicemente, per convenienza. Alle mie

parole sovei.

..,,iv a in modo smisurato la bocca.

Dovevano essere sbadigli. Di quei gesti ne avevo già

scorti quando tacevo l’oratore.

Ma il leone doveva continuare a sorprendermi.

Un mattino trovai vuota la gabbia. Seppi clic gli

avevano dato un'altra occupazione o meglio una

occupazione. Era divenuto agente di pubblicità.

Mi spiego: una sagace, ben nota ditta torinese

aveva pensato di utilizzarlo, collocandolo 111 una

grande vetrina della città. Avrebbe richiamato l'at­

tenzione del pubblico 1111 po’ colla semplice presenza,

1111 po’ coi tremendi ruggiti. Per di più avrebbe con­

ciliato il sonno, dt notte, ad 1111 intero rione.

La trovata si appalesò tosto accorta. Da mattina

a sera si raccoglieva, dinanzi la vetrina, una folla

varissima, specie di ragazzi, clic, come si sa, sono

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