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terraneo Pier Celestino Gilardi, le fortunate e ammi­

rate

liutiicrc

di Alberto Pasini o di Giovanni Qua­

drone, del Ricci o, specialmente di Bonatto Minella

spiritualmente a lui ariine.

Ora che sono di moda, torse per un gusto pole­

mico o fors’anche perchè hanno trovato l’ inatteso

«lanciatore» in G iorg io De Chitico, l’armeno Sciltian

e i*li spaglinoli fratelli Buono, Federico Boccardo do­

vrebbe se non entusiasmare, interessare quanti non

disprezzano nella pittura anche l’intelligente e paziente

mestiere e l’estrema cura nella resa del particolare

microscopico.

Decaduta

e

Candore,

1 preziosi dipinti che, final­

mente convcrtito, Thov cz accolse alla Galleria d ’arte

moderna superano, a m io parere, la ritrattista per

diventare documenti di una sottile ed unnlicordc poe­

tica pittorica, idonea a rendere lo stato d ’animo di

una dama d ’alto lignaggio e di tuie educazione, sere­

namente imperterrita nel rassegnato povero tramonto,

e la delicata innocenza d una bimba biancovestita:

poetica pittorica espressa e significata anche in qualche

natura morta dalla composizione coerente e logica

nel ritmo strutturale e nella felicità del colorire in

pieno, pure in piccolo spazio, risalendo dai valori

tonali più bassi a quelli più chiari e trasparenti, tutti

però quasi sempre di una smaltata lucentezza.

In certi piccoli paesi qualcuno un po ’ troppo vitreo

e imbalsamato nella definizione di cose minime che

annullano il fascino della visione, Boccardo fa pensare

ad alcuni minori toscani, al Borrani ed al Sernesi.

perfino al puntiglioso Sorbi. Nei ritratti, invece, ricorda

non di raro il migliore, il più sostanzioso Favretto,

quello per es., del ritratto del padre e della sorella,

figure inobliabili, potentemente ambientate dal grande

gcncrista veneziano nella stanza piccolo-borghese, tra

mobilucci meschini. Pittura aneddotica quella di Boc­

cardo, senza alti e repentini voli e senza inattese sco­

perte: pittura in certo senso gozzamatia per un cotal

ricercato amore del rifinito e del preciso, del docu­

mentato e del calcolato fino al millimetro. E evidente

nell’arte così controllata e compassata di Boccardo

il rischio di puntualizzare la figura, l'albero, la casa,

il paese prediletto di San Raffaele o il ponte sul Po

in valori meramente esteriori e illustrativi: e qualche

volta il rischio non è evitato... Ma quando l’artista,

che tanto amava 1 fiamm inghi

e

Chardin, si commuove

davanti alla Piccola cucitrice o alla figurina di Cap­

puccetto rosso ogni preoccupazione pel

s o g g e t t o

è

superata ed è annullata la sudditanza al bel motivo

evidente — invece — in altri quadri e disegni.

Per la cortesia delle degnissime figlie ho potuto

esaminare molti disegni e alcuni dipinti ancora inediti.

Federico Boccardo parla tranquillo e sicuro da quelle

pitture attentissime e da quei sottili disegni che si

direbbero fatti col fiato, specialmente da quelli ispi­

ratigli dagli oggetti di casa, dai bei mobili di famiglia,

dalle poltrone

Impero

che vediamo nelle opere mag­

giori, alcune, ahi noi!, destinate all’emigrazione oltre­

mare, richieste da collezionisti americani di raffinato

gusto e di esperta cultura. Disegni e pitture d ’eccezione

denunciano quel principio dell’estetica moderna che

definisce l’arte come espressione del sentimento, cioè

come ingenuità operante, un'ingenuità ragionata e

colta, fatta di purezza e di disinteresse. Di questa

indennità

che è, torse, la meta più alta conquistata dalla

riflessione estetica ottocentesca, è un nobile campione

il nostro Valsesiano.

L'autoritratto

incompiuto, l’ ultima

opera, l’estrema confessione di Federico Boccardo è

una pittura libera di una impostazione disegnativa, ptv-

tcnte nella sintetica resa della fisionomia tisica e spi­

rituale del moribondo consapevole e rassegnato. Per

Federico Boccardo, trepido autodidatta, poiché nella

sua coscienza urgeva una intima e segreta spiritualità

risanttta, la ritrattista è la più alta espressione della

pittura: ma per lui, ritrattista di care creature familiari,

era impossibile dipingere o disegnare ritratti accomo­

danti o lusingatori cosi come era impossibile

combinare

vedute paesistiche scenografiche per accontentare

1 turisti c i cultori del

bel motivo.

L ’arte di Boccardo non è mai compiacente. Per

disegnare e per dipingere egli deve amare, direi pre­

diligere, le persone, le piante, le cose; le

Case di R i-

vallui

e le pupattole delle sue bambine.

La sua vera natura, che lo tenne attaccato alle

matite e ai sottili pennelli a dispetto di tante delusioni

e delle um iliazion i inflittegli e sortene (non potè

ascendere su una cattedra all * Albertina * nella quale

era stato allievo per la faziosità dei maneggioni di

allora non meno crudeli dei maneggioni d ’oggi) era

squisitamente ostinata, risoluta, inidonea a conces­

sioni ed a adattamenti. L ’adesione alla realtà; il rispetto

per la torma e per l’essenza delle creature e delle cose

non si risolvono in quel realismo disanimato, in quei

p e z z i di pittura

legittimi soltanto sul piano del tecni­

cismo e della forza illusiva. La religione del vero che

promana specialmente da certi suoi disegni di piante,

perfino dall’ unico studio di nudo che mi è stato pos­

sibile esaminare, lo mette al riparo da ogni sospetto

d’indifferenza morale e di freddezza estetica.

Nei disegni clic qualche volta sembrano parenti di

certe notazioni gemmane le più immediate e le meno