

Siamo ai guai
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Poi mi incamminavo lentamente sotto il primo tratto
dei portici ili via Roma, costeggiavo il lato sinistro
di Piazza S. Carlo, pittavo un’occhiata sempre ammi
rativa al monumento di Emanuele l iliberto, allo stu
pendo cavallo del Marocchctti, mi studiavo di non
lasciarmi travolgere all’imbocco affollato di via Gioda
e. raggiunto il porticato di S. Cristina, la piazzetta
retrostante, sostavo un poco a riflettere sulla spropor
zione tra le statue del Po e della Dora del Baglioni
e le vasche sottostanti, una specie di piede di gigante
in un catino.
Poi ripigliavo la passeggiata sotto il secondo tratto
dei portici. Solimano non abitava lontano.
Ma un mattino avevo appena oltrepassato la
chiesa e mi si doveva presentare uno spettacolo non
nuovo, però sempre impressionante. C era nell’aria
come un silenzio tragico. La gente fuggiva paurosa
mente in ogni direzione. Si sarebbe detto che, ad
ogni angolo di strada, fosse stata piazzata una mitra
gliatrice con cattive intenzioni. Di tratto in tratto
echeggiava nell’aria un grido pauroso: «si salvi chi
può ». Il consiglio era accompagnato, seguito dal suono
rauco delle saracinesche, che si abbassavano, che, anzi,
precipitavano. Si udiva, sotto i portici, il rimbombo
dei portoni che si rinchiudevano in fretta. Seguivano
voci affannose di uomini, di donne che invocavano:
aprite per carità, dente, affacciata alle finestre dei
mezzanini, per quanto al sicuro, lanciava invocazioni
di soccorso, grida di raccapriccio.
Non ebbi alcun istante di dubbio. Mi dissi : — Soli
mano deve averne fatta qualcuna. Sarà fuggito. — Ma
la realtà era peggiore di quello che immaginassi.
Riunendo frammenti di frasi dei fuggenti avevo co
nosciuto tutta l'orribile verità: il m io amico era uscito
di gabbia, per l’inavvertenza del guardiano, lo aveva
abbattuto e se lo stava mangiando. Nessuno aveva
potuto pf>rtarc soccorso all’infelice.
La notizia mi colpi moltissimo, naturalmente per
pietà verso quella povera creatura straziata, ma anche
un po’ per Solimano, che ci avrebbe perduto la sua
riputazione. Per me, m quel frangente, non c ’era che
una via sola. Non potevo fuggire. D ovevo mettere
a disposizione dei miei concittadini la mia amicizia
degli abilissimi propagandisti.
1
vecchi amici di Soli
mano. tra cui ero il pruno, si vedevano un po’ sacri
ficati. Se volevo rivolgergli la parola, trovarm i 1111
poco con lui a quattr'occhi, dovevo cogliere l'ora del
pranzo, che rende le vie centrali pressoché deserte.
Avevo sempre la speranza che mi potesse far com
prendere come ave\a trovato, lui, re del deserto e
delle fiere, la nostra civiltà cristiana. Ma era una
illusione.
Pel momento l'unica soddisfazione che potei trarre
tu qualche occhiata indifferente. Talvolta mi guardava
pensieroso. Ma può essere clic quella espressione fosse
quella consueta del leone che riposa.
A poco a poco Solimano si abituò alla mia vista.
Ancora più mostrò di riconoscermi. Al m io apparire
alzava il capo e mi si offriva in tutta la sua bellezza
eolie zampe anteriori protese in segno di imperio.
Un giorno 1111 consolò con una manifestazione tutta
particolare: avendogli parlato con voce calda, con
accento quasi musicale, si levò, si strisciò contro le
barre, andando e ritornando più volte, dondolandosi
piacevolmente. Capii, una volta di più, la psicolo
gia della carezza, anche solo musicale.
Mi allontanai con 1111 grande sorriso, nel mio foro
interno. Non è lontano il giorno — pensavo — 111
cui potrò giungere a maggiore intimità col leone,
penetrare magari nella sua stessa gabbia, dimostrando
che la parola, se non può ammansare gli uomini,
ammansa le fiere.
Si vive di abitudini. Oramai mi trovavo puntual
mente, verso il mezzodì, 111 Piazza Castello, scam
biando qualche parola cogli oziosi del Bar Comb i.