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con Solimano. Lo puoi tare — mi dicevo — a cuore

tranquillo. Non c’è pericolo. Se mai è passato.

Proseguii pertanto il cammino, secondo il mio

consueto programma. Solo accelerai il passo. Giunsi

però, pur troppo, quando il pasto disumano era com ­

piuto. Il leone stava completando la toeletta delle

unghie, che avevano acquistato la deliziosa tinta rosso­

cupo che la moda ha imposto oggi alle unghicttc

femminili, torse colla intenzione di ammonirci silen­

ziosamente.

Un uomo impulsivo gli sarebbe andato incontro

con voce irata. So bene che non sarebbe stata fuori

posto. Ma non avevo dimenticato la lezione della

custode, sicché diedi alla mia voce una intonazione

dolce :

— Solimano, Solimano — dissi.

Levò il capo e mostrò di riconoscermi.

Siccome l’accoglienza era stata incoraggiante, con­

tinuai, con soavità:

— Che hai fatto ? Sei stato cattivo, molto cat­

tivo.

M i parve che fosse divenuto pensieroso. Ne appro­

fittai per aggiungere:

— Sarà bene che tu ritorni a casa tua. Potrai dige­

rire meglio.

Cosi dicendo mi avvicinai allo sportello semiaperto

della gabbia. Lo spalancai interamente. Il leone si

avviò con passo lento e solenne, penetrò nella gabbia

e si buttò sul pavimento. Lasciai ricadere pesantemente

lo sportello.

G li abitanti dei mezzanini più prossimi, che avevano

assistito inorriditi al pasto feroce, e poi, con mera­

viglia e terrore insieme, al mio arrivo, si precipitarono

al piano terreno e diedero il segnale della fine del

pericolo.

C om e la via ed i portici si erano svuotati rapida­

mente, rapidamente si riaffollarono, sicché io, colto

di sorpresa, non feci a tempo a darmela a gambe,

come desideravo. In breve mi trovai attorniato da

gente quasi impazzita.

Tu tti volevano vedermi, stringermi la mano. Qual­

cuno si faceva prendere in braccio, non potendo fare

ia mia conoscenza che in quel modo. Ud ivo per l’aria

parole strane : « è il nostro salvatore, è un eroe ». C ’era

anche chi diceva che una onorificenza sarebbe stata

del caso, che bisognava promuovere una pubblica

sottoscrizione ed altre corbellerie del genere.

Rispondevo, come mi era possibile, ai più pros­

simi, ma la ressa mi si taceva così stretta attorno ed

avrei, almeno in parte, tatto la fine del guardiano se,

per fastidio, non avessi rotto ogni indugio e non

tossi salito, per parlare, sul basamento della colonna

più prossima.

C i volle qualche tempo perchè potessi far quietare

il bruscìo. Finalmente potei parlare. Dissi:

Vi sono grato, signori, delle vostre parole. Ma

permettete di aggiungere subito che i vostri elogi

sono, nel caso presente, fuori di posto

(segni di mera­

viglia).

Io li

solo quello che ognuno di voi

avrebbe fatto (

grida:

«

non è vero, nessuno»).

Mi spiego,

Il mio non fu coraggio, tu solo serenità. E questa era

derivata dalla semplice psicologia

(segni di incredulità).

Sì, o signori, io potei avvicinarm i al leone, calmo e

sicuro, colla assoluta certezza che non mi avrebbe

toccato

(cenni di stupore).

Egli aveva mangiato e man­

giato con abbondanza. Orbene sapevo che non vi è,

in tutta la creazione, che 1111 essere solo che non ne

abbia mai abbastanza, che mangi di nuovo quando è

satollo: l’uomo,

(f: vero, è vero).

Potevo essere tran­

quillo, Solimano non mi avrebbe atterrato un dito.

La folla si suddivise 111 gruppi per commentare

le mie parole.

Approfittai della distrazione del pubblico per svi­

gnarmela.

GIULIO CASALIN I

Finalmente potei parlare

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