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La lampa„
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glorioso
Circolo degli Artisti
di Torino contimi,i
iirlhi >11,1 Irli,i tradizione accogliendo nella sua sede pittori
e
letterari
senitori e poeti, architetti e musicisti (Jnesto arinolo di
A rrigo Frusta
iw dii ima r ii’,ice descrizione, sottolineata dai versi del noto noeta,
romanesco di orioine e
torinese
di adozione,
Filippo Tartùfari,
illustrata da disegni del /'litote
Felice Vcllan.
I il bel volumetto
pubblicato dal ('asanora recentemente. , otiti, ne la raccolta completa
delle poesie dedi,aie da Tartùfari alla la m p i,
(n.
<1
r ).
C lic cos ò la
Tampa?
C om e sorse? C om e vive?
Perché ?
Proprio cosi, in quattro e quattr’otto ve la conto
pretta, nuda e cruda.
C era, e c ’è, a mezzo di via Bogino il palazzo
(iraneri, dal nome del cardinale clic lo tccc costruire;
ed ha il più bcH’andronc che mi conosca, tutto buio
con delle colonne massicce, e poi un gran portico
luminoso; e in tondo al cortile vali su fino ai tegoli
due veterani alberi di castagno d ’ india che, a ogni
primavera, si parano d ’ un verdolino tenero tenero e
si riempiono di sole e di indi. A sinistra lo scalone,
di buona architettura, mette al primo piano a una
sfibrata di stanze e di sale, non sai se m eglio pitturate
o dorate. Da tempo remoto gli artisti torinesi ebbero
la felicissima idea di piantar lì il loro nido. Da quando ?
Da tanto proprio: da cent'anni.
Sello storico quartiere
\*iìi dei nobili ,i Torino
sbocca ai Tortici ili Po
la tranquilla
I
’ia Rodino.
Sei Palazzo del Graiuri,
bel gioiello del seicento,
c'e quel Circolo d'artisti,
fiore del Risorgimento.
Se tu vuoi goder la sera
fra gli artisti spensierati,
va nel Sabato alla
«
Tampa»:
quattro stanze agli ammezzati.
C om e corre il tempo, oh im è! Mi par come ieri
che n>. nuovo socio, provai l'intima gioia di sgallet
tare nel palazzo dell’ A rte! Ma non è m io intendi
mento raccontare la storia del C irco lo di via Bogino.
Solo vog lio
l’ usanza, che dura tuttavia, di
ritrovarsi insieme il sabbato sera d intorno a una buona
tavola. Com inciò presto cd ebbe nomi vari: secondo
i tempi e i gusti si chiamò pranzo sociale, agape fra
terna, simposio e poi
gastrica,
col k, e durò più a
lungo. Si trattava di porsi a tavola con una ghirlan
d a ta in capo. Con quei d ii’ fiori sui capelli, o d'in
torno alla pelata, l’artista richiamava al cuore lo spi
rito dell’antico remano e provava la smania di parlare
in
us.
Subito si figurava d ’allungar le gambe al ban
chetto di Trimalcione e di spendere sesterzi a piene
m in i... A conti tatti sborsava — sì e no — un cavur
rino, che era ben du’ lire.
Queste
gastrike
durarono finché nacque la
Tampa.
Più anni fa due bravi figlioli, clic tornavano dalle
trincee del Carso, con in gola il sogno anelante d ’un
piatto d ’agnellotti, si dissero: — C ’è qui, schiacciato
tra il suolo del salone e le gran volte del pianterreno,
un mezzanino di quattro stanze, ripiene di rottami di
sedie e di salaccai polverosi. Nessuno ci caccia mai il
naso. Perchè non leviamo i ragliateli, non diamo aria
tutt’intorno, non pitturiamo muri c soffitti ? E in
cotcst’angolo non tiriamo su una gran cappa di ca
mino ? E in cotest’altro non fabbrichiamo una cassa-