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6 6

T

' T ’

La lampa„

II

ir n lih

'

glorioso

Circolo degli Artisti

di Torino contimi,i

iirlhi >11,1 Irli,i tradizione accogliendo nella sua sede pittori

e

letterari

senitori e poeti, architetti e musicisti (Jnesto arinolo di

A rrigo Frusta

iw dii ima r ii’,ice descrizione, sottolineata dai versi del noto noeta,

romanesco di orioine e

torinese

di adozione,

Filippo Tartùfari,

illustrata da disegni del /'litote

Felice Vcllan.

I il bel volumetto

pubblicato dal ('asanora recentemente. , otiti, ne la raccolta completa

delle poesie dedi,aie da Tartùfari alla la m p i,

(n.

<1

r ).

C lic cos ò la

Tampa?

C om e sorse? C om e vive?

Perché ?

Proprio cosi, in quattro e quattr’otto ve la conto

pretta, nuda e cruda.

C era, e c ’è, a mezzo di via Bogino il palazzo

(iraneri, dal nome del cardinale clic lo tccc costruire;

ed ha il più bcH’andronc che mi conosca, tutto buio

con delle colonne massicce, e poi un gran portico

luminoso; e in tondo al cortile vali su fino ai tegoli

due veterani alberi di castagno d ’ india che, a ogni

primavera, si parano d ’ un verdolino tenero tenero e

si riempiono di sole e di indi. A sinistra lo scalone,

di buona architettura, mette al primo piano a una

sfibrata di stanze e di sale, non sai se m eglio pitturate

o dorate. Da tempo remoto gli artisti torinesi ebbero

la felicissima idea di piantar lì il loro nido. Da quando ?

Da tanto proprio: da cent'anni.

Sello storico quartiere

\*iìi dei nobili ,i Torino

sbocca ai Tortici ili Po

la tranquilla

I

’ia Rodino.

Sei Palazzo del Graiuri,

bel gioiello del seicento,

c'e quel Circolo d'artisti,

fiore del Risorgimento.

Se tu vuoi goder la sera

fra gli artisti spensierati,

va nel Sabato alla

«

Tampa»:

quattro stanze agli ammezzati.

C om e corre il tempo, oh im è! Mi par come ieri

che n>. nuovo socio, provai l'intima gioia di sgallet­

tare nel palazzo dell’ A rte! Ma non è m io intendi­

mento raccontare la storia del C irco lo di via Bogino.

Solo vog lio

l’ usanza, che dura tuttavia, di

ritrovarsi insieme il sabbato sera d intorno a una buona

tavola. Com inciò presto cd ebbe nomi vari: secondo

i tempi e i gusti si chiamò pranzo sociale, agape fra­

terna, simposio e poi

gastrica,

col k, e durò più a

lungo. Si trattava di porsi a tavola con una ghirlan­

d a ta in capo. Con quei d ii’ fiori sui capelli, o d'in­

torno alla pelata, l’artista richiamava al cuore lo spi­

rito dell’antico remano e provava la smania di parlare

in

us.

Subito si figurava d ’allungar le gambe al ban­

chetto di Trimalcione e di spendere sesterzi a piene

m in i... A conti tatti sborsava — sì e no — un cavur­

rino, che era ben du’ lire.

Queste

gastrike

durarono finché nacque la

Tampa.

Più anni fa due bravi figlioli, clic tornavano dalle

trincee del Carso, con in gola il sogno anelante d ’un

piatto d ’agnellotti, si dissero: — C ’è qui, schiacciato

tra il suolo del salone e le gran volte del pianterreno,

un mezzanino di quattro stanze, ripiene di rottami di

sedie e di salaccai polverosi. Nessuno ci caccia mai il

naso. Perchè non leviamo i ragliateli, non diamo aria

tutt’intorno, non pitturiamo muri c soffitti ? E in

cotcst’angolo non tiriamo su una gran cappa di ca­

mino ? E in cotest’altro non fabbrichiamo una cassa-