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Si parla oggidì, specialmente a proposito della pit
tura di paesaggio, di una « trasfigurazione della na
tura ». In altre parole, secondo alcuni critici, l’arte
aggiungerebbe alla natura alcuni pregi di cui sarebbe
priva, o la modificherebbe in senso migliorativo, ren
dendola capace di suscitare emozioni estetiche mag
giori e più delicate, o almeno nuove e diverse da quelle
che. da sola, non sarebbe atta a destare.
Non siamo alla maledizione della natura, quale
nostra nemica, tesi paradossale in letteratura, tra gli
altri, di Guy de Maupassant, ma certo siamo alla affer
mazione della superiorità dell’arte sulla natura nella
virtù creatrice, almeno sul terreno estetico.
Sento ripugnanza insuperabile per ogni sorta di
fanatismo. Non c’è quindi posto — nel mio spirito —
neppure per quell’adorazione senza confini della na
tura, per qucU’csaltazionc delle sue creazioni, che die
dero, più d’ una volta, nella storia, impronta a indirizzi
duraturi nella filosofia, nella letteratura, nella vita. Pur
troppo c’è, nel mondo, accanto al bello ed al sublime,
il brutto e l’orrido. Solo forse in tal modo abbiamo
uno strumento di misura, un mezzo di comprensione.
Non è una difesa della natura, cosa che mi parebbe
non poco amena, che qui intendo fare, ma un sem
plice, limitato, rilievo. Forse parlare di trasfigurazione,
quindi di raffigurazione di paesaggi in qualche modo