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MARC<? NICOLOSINO,

Piazza San Carlo.

Disegno a china con ritocchi all'acquerello,

ante

1827 (ASCT,

Colleztone Simeom,

D 309).

'L filosofo ch'as ferma su tute le pì minute circostansse, e ch'a osserva j'andament deI pals, a

descheurv sovenss, e a treuva d' piasì dov tanti a fan gnufie atenssion, e as pascola, e as god le pì

minute aventure

15 .

Ma su questo scenario cosÌ delimitato (cuore di una città dignitosa, cuore di un

tempo eccezionale) sarebbero ancora molti i passeggi da ripercorrere più minutamen–

te, anche se per noi

è

giocoforza restringerei a un ben esiguo campione. Non tuttavia

cosÌ esiguo da indurci a trascurare i passi compiuti da Massimo d'Azeglio un mattino

d'ottobre del '45 per recarsi all'udienza con Carlo Alberto, passi da lui stesso narrati

nell'ultimo capitolo de

I miei ricordi

(l'opera interrotta con

il

'46 e pubblicata postuma

nel '67). Gli stessi su cui calcano le pagine alquanto prolisse del romanzo d'appendice

di Vittorio Bersezio,

La Plebe

(1867-69), a partire dalla locanda d'Europa (allora

albergo Trombetta) affacciata su piazza Castello, dove l'Azeglio alloggiava:

Suonavano appena le sei mattutine del dì susseguente quando un uomo di alta statura, ben bene

imbacuccato nel suo mantello, usciva dalla locanda d'Europa ed attraversando dritto innanzi a sé la

piazza detta del Castello dirigevasi verso

il

Palazzo Reale. L'oscurità della notte era piena tuttavia; e

una folta neobia occupava la piazza; aveva cessato

di

nevicare, ma la neve caduta nella giornata e

nella sera precedente copriva tutto

il

suolo d'un bianco lenzuolo che mandava un certo albore sotto

il

grigio cupo di quella nebbia bàssa; traverso questa parevano chiazze di luce sanguigna i pochi

lampioni accesi, e in fondo, agli occhi del nostro mattinale passeggiero, pioveva una viva luce dai

finestroni del Palazzo Reale già tutto desto e illuminato

16

.

l'

Ij politicon d' Piassa Castel,

in <J>amas Piemonteis»,

Torino, Stamperia Fodratti, 1939, p. 25.

(TI

filosofo che si

sofferma su tutte le più minute circostanze, e che osserva

gli andamenti del paese, fa spesso scopette, e prova piace–

re dove tanti non fanno nessuna attenzione, e si pascola, e

si gode le più minute avventure). Pagine vivacemente

scritte in ELISA GRIBAUDI ROSSI,

Quella Torino

(La

città

popolare dal 1850 al 1900),

Milano, Longanesi, 1978, spe-

cie

al

capitolo IV

(A l'é meifrusté de scarpe che 'd linsèui

meglio consumare scarpe che lenzuola]).

16

VITTORIO BERSEZIO,

La

Plebe,

Torino, Giuseppe

Favale, 1867-69, parte terza , cap. XVIII, p. 121. Un

romanzo che sarebbe ricco di spunti ai nostri fini, anche

se per le solite ragioni di spazio mi limiterei

al

tema rigo–

roso del passeggio di uno dei tanti personaggi, Gian–

Luigi, chiamato anche

il

medichino: «Questi uscì, si recò

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