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gamento con le realtà locali, individuando e discutendo alcuni dei problemi economi–

ci, sociali e amministrativi emergenti: dalla vita delle istituzioni scolastiche allo stato

delle vie di comunicazione, dalle condizioni dell'agricoltura allo sviluppo manifatturie–

ro e industriale, dal funzionamento delle amministrazioni comunali e provinciali alla

migliore utilizzazione del credito. E per questo, nel loro insieme, essi costituiscono

ancora oggi una fonte di rilievo per la ricostruzione della società politica e civile pie–

montese non limitata alle manifestazioni di vertice ma attenta anche alle sue articola–

zioni periferiche.

Tornando ora alla stampa quotidiana di Torino, elementi di differenziazione

sostanziale nei suoi orientamenti vennero introdotti dagli avvenimenti succedutisi

nella penisola tra l'aprile e il maggio del

1848:

il disimpegno di Pio IX nei confronti

della causa nazionale italiana sancito dall' allocuzione del 29 aprile, il ritorno a una

politica reazionaria da parte di Ferdinando II con la connessa giornata napoletana del

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maggio, la crescente delusione per la condotta militare delle operazioni contro l'e–

sercito austriaco. La divergenza più netta - a parte la marcata accentuazione del carat–

tere «nazionale» della guerra propria ai democratici e ai liberali più avanzati - si veri–

ficò sulla questione delle modalità dell' annessione della Lombardia agli Stati sardi e

della formazione di un regno dell' alta Italia. Sino al 29 maggio, quando le popolazioni

10mbarde votarono, dopo lunghi e accesi contrasti, la «fusione» delle loro terre con il

Piemonte, tutti i fogli quotidiani erano stati d'accordo nel sostenere l'opportunità di

una sollecita unione del Lombardo-Veneto al Piemonte e la creazione di un regno del–

l'Italia settentrionale sotto la sovranità di Carlo Alberto, compresi la «Concordia» (13

e 25 aprile e

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maggio) e il «Messaggiere»; e in particolare il giornale di Brofferio,

dopo aver sostenuto la necessità della più ampia libertà di discussione sulla decisione

prima del plebiscito e aver difeso Mazzini, contrario alla «fusione», dalle «folgori» dei

moderati, aveva poi salutato il voto dei 10mbardi favorevole all'unione come il corona–

mento delle sue «più care speranze».

Una sostanziale convergenza si registrò anche sulla questione della Costituente da

eleggere per definire le basi del nuovo Stato costituzionale che sarebbe dovuto sorgere

dopo la «fusione»; la Costituente fu infatti accettata anche dal «Risorgimento», sebbe–

ne Cavour ritenesse che la soluzione migliore potesse essere quella

di

un progressivo

«svolgimento» dello Statuto albertino da parte di una camera allargata con i deputati

delle province annesse

(20

giugno

1848);

mentre anche il «Costituzionale subalpino»,

dopo aver in un primo tempo avversato la Costituente (<<Non assemblea .costituente,

[... ] ma un parlamento composto dei popoli del regno nuovo. La dinastia ed il Pie–

monte porteranno nel consesso la forza, il principio dell'indipendenza e dell'organiz–

zazione: Milano e Venezia le glorie passate, le speranze avvenire, il principio della

libertà fondato sul riscatto», 19 maggio); tornando però poi, di fronte al profilarsi

della sconfitta, a imputare l'indebolimento delle forze piemontesi all'errore di aver

voluto subordinare la fusione alla Costituente

(20

luglio).

E anche in tema di «questione sociale» e di socialismo giudizi di fondo analoghi

nella sostanza erano formulati nei commenti dedicati dal «Risorgimento» e dalla

«Concordia» alla sollevazione popolare parigina del giugno

1848.

Cavour giustificava

sul suo giornale il sanguinoso ricorso alla forza militare voluto dal «partito dell'ordi–

ne» perché a suo giudizio si trattava di «salvare l'ordine sociale da ' una distruzione

assoluta; di serbare intatti i sacrosanti principi della famiglia e della proprietà minac–

ciati dal socialismo e dall'anarchia; di preservare la civiltà moderna da una nuova inva–

sione di barbari»; ma, soggiungeva, la vittoria sarebbe rimasta sterile se non si fosse

ristabilito l'«ordine morale» e se le classi vittoriose non si fossero fatte carico di prov–

vedere al «miglioramento stabile, reale e continuo delle condizioni fisiche e morali

delle classi meno agiate e più numerose», non già ricorrendo a espedienti rovinosi

come quello delle «pubbliche officine» ma studiando soluzioni compatibili con le

leggi vigenti

(30

giugno). Dal canto suo la «Concordia» vedeva nella disfatta degli

insorti parigini un successo della «causa della repubblica» e attribuiva la colpa

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