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discepoli il cuneese Celestino Schiaparelli, successivamente attivo nel campo dell'ara–

bistica, a Firenze e a Roma, dall'anno 1873-74 in poi.

I primi studi sinologici in Italia risalivano alla fine del

XVI

secolo, agli anni nei

quali, cioè, il missionario Matteo Ricci da Macerata (1552-1610) organizzò le prime

missioni gesuite in Cina e iniziò a studiare il Cinese fino a impadronirsi perfettamente

di questa lingua, tanto da superarne anche le sue più ardue difficoltà, e da acquisire

una rara padronanza dei lessici e dei codici espressivi. In tal modo potè comporre una

quindicina di opere, tra le quali figura lo

Thien-cin-sei-i

(<<La vera Dottrina di Dio»)

un catechismo celeberrimo che fu inserito nella famosa «Raccolta delle opere classiche

cinesi». Il Ricci compilò anche un rinomato Dizionario Cinese che divenne lo stru–

mento base per tutti i successivi lavori dei sinologi occidentali. Dopo di lui un altro

missionario, il francescano Basilio da Gemona, compose due lessici, uno dei quali,

pubblicato nel 1699, fu considerato da Abel-Rémusat come il miglior dizionario rea–

lizzato fino a quei tempi.

Un secolo dopo, un nuovo contributo italiano in tema di lessicografia sinica si ebbe

per merito di Antonio Montucci da Siena: si tratta di un eccellente dizionario, accolto

dalla critica come un capolavoro «del quale sarebbe difficile immaginarne uno miglio–

re». Eppure, nonostante questa impareggiabile crescita delle ricerche sinologiche,

il

mondo della scienza torinese continua a brillare per la sua assenza. Sarà la comparsa

sulla scena di una personalità quale quella del Calleri a creare almeno un aggancio

ideale, seppure indiretto, fra Torino e la sinologia.

Giuseppe Maria Calleri nacque a Torino il 25 giugno 1810 da Gaetano e Maria

Gazzola e venne battezzato con i nomi di Giuseppe-Gaetano-Pietro-Massimo-Maria.

Nel 1815, quando avrebbe potuto optare per la nazionalità francese, egli non lo fece

né ritenne di farlo anni dopo. Entrò nel piccolo seminario di San Francesco di Sales a

Melan, dove potevano essere accolti anche i giovani piemontesi. Fu poi ordinato

Sacerdote a Parigi e partì poco dopo per la Cina con destinazione Macao. Cominciò

subito lo studio del Cinese e del Coreano, ma si sentiva contemporaneamente attratto

dalle scienze naturali, dalla botanica, dall' ornitologia, dalla mineralogia. Superate

alcune vicissitudini che confermavano la sua irrequietezza, nel 1841 pubblicò a

Macao la sua prima opera di sinologia, il

Sistema phoneticum scripturae sinicae;

nel

1842 rientrò a Parigi, dove rese pubblico il piano del suo Grande Dizionario, ma non

riuscì a reperire i fondi per realizzarne la pubblicazione. Dimessosi dalla Societé des

Missions Etrangères di Parigi, entrò al Ministero degli Esteri; poté poi ritornare a

Macao nel 1843, alle dipendenze del Consolato Francese. Di qui, dopo un soggiorno

alquanto tempestoso, fece ritorno a Parigi dove fu nominato «Segretario-interprete

per la lingua della Cina» al ministero degli Affari Esteri (1846). La sua elezione a

membro dell'Accademia delle Scienze di Torino (1844) lo agevolò ai fini di poter

pubblicare, in una edizione «magnifica» la sua traduzione del testo abbreviato del

Li–

Ki ou Mémorial des Rites:

la traduzione fu considerata degna di ogni elogio da

J.

Legge il quale giudicò le note che la illustravano, e alle quali egli dovette fare più

volte ricorso, addirittura mirabili. Il contributo del Calleri agli studi sinologici fu

indubbiamente cospicuo e di grande interesse: dal suo

Sistema Phoneticum Scripturae

Sinicae,

sopra citato, al

Dictionnaire Encyclopédique de la Langue Chinoise,

Tome Pre–

mier (Macao-Paris, 1844), al

Journal des Opérations Diplomatiques de la Légation

jrançaise en Chine

(Macao, 1845), e a tanti altri lavori, lasciò testimonianza tangibile

di un' attività intensa e intelligente. Purtroppo, dal 1847 in poi, la sua esistenza fu

amareggiata da contrasti, disavventure e intricate vicende giudiziarie, fomentate in

gran parte da rivalità e gelosie che dividevano allora i vari sinologi, e così complesse

che finirono col coinvolgere anche un grande studioso come Stanislao

J

ulien, a quei

tempi professore al Collège de France e Membro dell'Institut. Fu anche sottoposto a

una inchiesta amministrativa intesa a definire la «possession légitime» di sei opere

della Biblioteca Nazionale che il Calleri avrebbe illecitamente trattenuto. Triste tra-

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