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e alla domanda su che cosa pensavano gli austriaci, l'Azeglio rispose che sia lui che il

re, secondo gli stessi, corteggiavano la stessa amante, ossia l'Italia. Carlo Alberto lo

congedò dicendo: «Quand vous viendrez à Turin, venez me voir, je vous verrai

toujours avec plaisir»8. Sembra l'invito a quell'altra visita storica del

12

ottobre

1845,

in cui fu rilasciato dal sovrano il famoso messaggio «Faccia sapere a quei signori...»,

che suonava come promessa della prima guerra d'indipendenza

9 •

Ma accanto a questi

incontri promettenti, e probabilmente ad altri su cui i documenti tacciono, quante

latitanze!

Più diffusi, perché consustanziali con l'intera materia dell'epistolario, ma ben visi–

bili, gli elementi del processo di italianizzazione. Ogni corrispondenza epistolare con

Torino o, meglio, ogni ritorno in patria, portò in sé un ulteriore e progressivo allarga–

mento dell'esperienza nazionale e anche europea dell'Azeglio, partecipata agli amici

torinesi e condivisa con loro, esperienza non soltanto intellettuale ma anche di società,

concreta, spesso da «laboratorio»lO: «Ricòrdati - così nel

1847

al Balbo - quel giorno

che arrivavo di Romagna e venni al

Rubatt,

e tutto quello che è passato tra noi in pen–

sieri parole ed opere d'allora fino ad oggi, e tutto il vespajo che s'è destato»ll .

Caratteristico di questo dialogo tra l'Azeglio e la sua città è appunto il carteggio

fino a poco fa inedito col cugino, sempre fisso a Torino, in stretto contatto con la clas–

se politica locale, con i personaggi che contano, Predari, Petitti, Promis, e con

l'entou–

rage

del re, e Massimo che gira, osserva, agita, organizza e supplica che Torino stia al

passo e non sia remora al processo di emancipazione nazionale. Tutto ciò con fiducia e

sfiducia, con perseveranza e scoraggiamento, con entusiasmo e collera: «Quanto poi al

divertirmi, quelli che lo dicono, vorrei sapere cosa facevano quando io logoravo scar–

pe per l'Italia», sbotta indispettito nel marzo del

1848

12 .

L'insofferenza verso Torino fu precoce.

li

bisogno di modernità, il rifiuto dell'ipo–

crisia incipriata e compassata, l'aspirazione a un ideale di vita sciolta e rispettosa della

libertà individuale (<<Che so quanto sien vane, e sciocche, e frali / Le glorie tratte sol

d'alti natali») si esprimono per la prima volta in quelle terzine inedite del

Poemetto

cavalleresco

e di

Gualtieri,

ispirate al mondo ariostesco dei cavalieri erranti, ma strana–

mente ancorate nella vita torinese e esplicitamente scritte in chiave di satira sociale.

Quanto la gente di

Torino

sia fiera ,

Non è mestier ch'io l'dica, è a voi ben noto;

Sapete pur lor usi, e in qual maniera

Di portare i capelli han fatto voto.

E che lor chioma siasi bionda o nera

Bruttan con polve, e che lor senno vuoto

Fa sì che stretta e avvolta in un nastrino

La portino, chiamandola

cQdino

13 .

Più che l'aver, più che la vita, e quanto

L'onore,

è

caro a lor questo

codino

Sì che

il

proverbio è noto in ogni canto.

Tenni la coda d'uom nato in

Torino:

È

questo tra

di

loro

il

maggior vanto;

A quel si rende quasi onor divino,

E tal v'ha con la zucca pien di vento

Che un bel

codin

fa dir uom di talento

14 .

Questa insofferenza dell' ambiente torinese è il

leit motiv

di numerosi episodi suc–

cessivi, come nel

1825

quando, per fuggire il giubileo indetto da Leone XII, il nostro

8

Epist.,

I,

p.

372.

9

A Luigi Carlo Farini, 12 ottobre 1845; a Vincenzo

Malenchini, 14 ottobre 1845,

Epist.,

II,

pp. 385 , 387 .

lO

Epist.,

ID, p . 492.

11

A

C.

Balbo, gennaio 1847,

Epist.,

ID, p. 260.

12

A

C.

Balbo, 9 marzo 1848,

Epist.,

IV, p. 65.

13

MASS IMO D' AzEGLIO,

Poemett o cavalleresco,

BIBLIOTECA LABRONICA DI LIVORNO,

Raccolta Bastagi;

MASSIMO D'AZEGLIO,

Gualtieri,

in

Pièces poétique"s,

ARCHIVIO DI STATO DI TORINO (d'ora in poi ASTl, Corte,

Carte Azeglio,

I, 4, 5.

14

Ibidem,

II,

59, 60.

389