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lo come riferimento per ubicare terre: «ad Tectum Viglodi» e «ad Tec-

tum de Losta», quest’ultimo in prossimità del Sangone

288

. Il termine

tec-

tum

, qui legato a singoli possessori, appare in seguito accanto a nomi di

gruppi familiari, come nel caso del «Tectum Mazocorum» e del «Tec-

tum Allamanorum»

289

: tutti quanti però, nel momento in cui la loro men-

zione ricorre nelle fonti, sono ormai ridotti a puri e semplici microto-

ponimi senza più alcuna traccia di edifici. I pochi

tecta

dunque, sorti in

zone periferiche erano stati verisimilmente spazzati via dalle ricorrenti

devastazioni che caratterizzarono buona parte del

xiv

secolo. Grazie al-

la sua collocazione si salvò, invece, il

tectum

in possesso dei fratelli Ai-

nardi ubicato nei prati intorno a Sassi con 14 giornate di terre e con il

diritto di ingresso con carri e buoi «equester et pedester»

290

. Insieme con

domus

e

tecta

si era dislocato, nello stesso tempo, sul territorio qualcu-

no di quegli

airali

e

cortili

che abbiamo visto in precedenza affollarsi

esclusivamente attorno alle mura

291

.

Il termine

casale

, molto diffuso altrove, ricorre a Torino soltanto ne-

gli statuti del 1363 i quali specificamente prescrivono che in ogni

casa-

le

ci possano essere al massimo due «amassatores grani et unus farnaro-

lius», e in caso di contravvenzione è chiamato a risponderne il «moli-

narius dicti casalis». I

casalia

cui si allude sono quindi edifici annessi ai

mulini esistenti lungo il Po e la Dora

292

. Essi rimanevano in posizione

marginale rispetto alla città, i loro edifici di servizio disponevano di spa-

zi coperti limitati e certo non attrassero mai – come avvenne invece in

altre realtà urbane – un’affollata e tumultuosa attività da angiporto. Le

disposizioni statutarie sembrano tuttavia indicare che i mugnai vi risie-

devano stabilmente e che i lavoranti tendevano a crescere di numero ol-

tre il necessario. Gli apprestamenti difensivi e i presìdi armati in atto

attorno ai mulini nel corso del Trecento miravano comunque a salva-

La città e il suo territorio

93

288

Rispettivamente: ASCT, Dor. 1349, c. 28

v

: «in ultimo fine loco dicto ad Tectum Viglo-

di»; Nuova 1363, c. 66

r

: «ad Tectum de Losta in ultimo fine»; Dor. 1363, c. 28

r

: «in ultimo fine

loco dicto ad Tectum Viglodi», per indiviso con gli eredi «Viglodi becarii»; Dor. 1415, c. 6

r

: ter-

re gerbe «per viam Guncenarum in ultimo fine […]: in dictis finibus loco dicto per viam Tecti Ho-

ste, in ultimo fine, coheret Gerbola».

289

ASCT, Marm. 1415, c. 66

r

: «Ultra Sturiam ad Tectum Allamanorum»; Dor. 1415, c. 70

r

:

«Ad Tectum Mazocorum in ultimo fine, cui coherent illi de Mazochis»; cfr. anche

benedetto

,

Forme e dinamiche del paesaggio rurale

cit., p. 251;

barbero

,

Un’oligarchia urbana

cit

.

, pp. 107-8.

290

ASCT, Dor. 1415, cc. 76

v

, 79

r

; cfr. anche

benedetto

,

Forme e dinamiche del paesaggio

rurale

cit., p. 252;

barbero

,

Un’oligarchia urbana

cit

.

, p. 107.

291

Ad esempio: ASCT, Pust. 1349, c. 69

r

: mezza giornata di prato «in primo fine cum ayra-

le»;

carmine

,

Accertamenti demografici

cit., I (1363), p. 298: due giornate di prato «et curtilem ad

Fontanetum».

292

BSSS, 138/1, pp. 47, 121; sulla collocazione dei mulini

settia

,

Fisionomia urbanistica

cit.,

pp. 814-15 (testo corrispondente alle note 85-86);

bonardi

,

Canali e macchine

cit., pp. 106-13.