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di 20 giornate di terra rimesse a coltura in quell’anno, ma che non era-

no state più arate né seminate da un trentennio.

Questo quadro di evidente arretramento delle terre coltivate lascia-

va tuttavia spazio a uno sforzo cospicuo di ricolonizzazione, sollecitato

dalle necessità di difesa del territorio torinese. Nel marzo 1397 Ribal-

dino Beccuti, che a Lucento aveva un castello con airale circondato da

almeno 300 giornate di terra, riuscì a sfruttare la particolare situazione

politico-militare del momento, caratterizzata dalle frequenti incursioni

degli armati al soldo del marchese di Monferrato, per ottenere dal con-

siglio comunale di Torino importanti sgravi fiscali prospettando sia l’ac-

quisto in zona di nuove terre, sia la messa a coltura di incolti e la loro

riduzione a campi, prati ed alteni. Se il suo scopo era quello di valoriz-

zare meglio i propri fondi, mettendoli al riparo da un incremento della

pressione fiscale, l’intento del comune, con cui sicuramente converge-

va quello del principe d’Acaia, che di lì a poco avrebbe concesso l’inve-

stitura del luogo e del castello, era prevalentemente militare: l’esenzio-

ne era concessa «in auxilium supportandi onera que […] incombunt

propter guerras pro castro Lucenti». Il panorama che ne emerge è con-

fermato da una carta di franchigia concessa da Ribaldino agli abitanti

del luogo nell’agosto 1398, che – ha osservato Benedetto – «appare, nei

suoi aspetti economici, come un vero progetto di valorizzazione di

un’area periferica, oltre che un tentativo di organizzare una comunità

indipendente dal comune di Torino». Ciascuno degli abitanti che sot-

toscrissero la carta – sette contadini in parte provenienti da località li-

mitrofe –, e gli altri immigrati che li avrebbero raggiunti, ricevettero in-

fatti in enfiteusi perpetua più di 30 giornate di terreni, in parte incolti

e da arroncare, ma contemporaneamente si impegnarono a prestare al

signore tre

corvées

(

roide

) e si accollarono una serie di obblighi, fra cui

quelli della guardia al castello e della riparazione delle fortificazioni. Si

impegnarono infine a piantare ad alteno una certa quantità di terreno

di estensione non definita: scelta interessante che appare in perfetta sin-

tonia con gli sviluppi dell’agricoltura subalpina bassomedievale

43

.

L’alteno, un’associazione policolturale in cui la vite era coltivata al-

ta, su alberi tutori, mentre tra i filari del terreno sottostante si pote-

vano coltivare cereali e legumi, si era, nel Trecento, diffuso molto len-

tamente nelle campagne torinesi, ma era destinato nel Quattrocento a

L’economia

119

43

ASCT, Carte Sciolte, n. 1348;

s. benedetto

,

Una rifondazione signorile nel territorio di To-

rino alla fine del Trecento

, in «Studi Storici»,

xxxii

(1991), pp. 87-95 (la citazione è a p. 89);

bar-

bero

,

Un’oligarchia urbana

cit., pp. 61-131. Cfr., in questo stesso volume,

a. a. settia

,

Modelli in-

sediativi periurbani

, p. 63.