

senta soltanto la sedicesima parte. Nei terreni destinati alla cerealicol-
tura invece, l’incremento dell’arativo segue normalmente abbastanza da
vicino quello del patrimonio: da un minimo di 1 giornata (il 50 per cen-
to dei beni di un piccolissimo contribuente), giunge a 212 giornate che
costituiscono l’87 per cento di uno dei patrimoni maggiori
71
.
Soffermiamoci ora sull’alto numero di coloro che o non avevano be-
ni fondiari o ne possedevano per una quantità insufficiente al mante-
nimento di una piccola famiglia coniugale e che cioè, stando alle valu-
tazioni correnti sulla produttività della terra, controllavano meno di
10 giornate. Come si è accennato, alla metà del Trecento essi rappre-
sentavano circa i due terzi dei contribuenti torinesi e nei primi anni
del Quattrocento, nonostante la crisi demografica, superavano ancora
abbondantemente la metà della popolazione cittadina
72
. Fra tutti, i più
fortunati erano certamente coloro che disponevano di qualche giorna-
ta di terra
73
e che rappresentavano una cifra oscillante fra il 40 e il 47
per cento degli iscritti all’estimo di Torino. Poiché il loro reddito fon-
diario era insufficiente, essi «dovevano integrare i propri guadagni de-
dicandosi all’artigianato, al piccolo commercio o al lavoro salariato»
74
.
La ripartizione stessa dei patrimoni fondiari metteva quindi a dispo-
sizione della grande proprietà e dello sviluppo manifatturiero torine-
se una larga disponibilità di manodopera alla ricerca di attività inte-
grative.
La folta presenza di questi «contadini di città», di una città come la
Torino trecentesca fortemente caratterizzata dalla ruralità e per certi
versi paragonabile a un’«agro-town» meridionale, rendeva Torino, per
dirla con Alessandro Barbero, «intrinsecamente adatta allo sviluppo di
un’industria tessile fondata sulla distribuzione del lavoro a domicilio fra
i lavoranti»
75
, in perfetta sintonia con quanto è stato accertato per lo
sviluppo manifatturiero tardomedievale dei maggiori centri di produ-
zione tessile subalpina, che pure vere e proprie
civitates
non erano, da
Pinerolo, a Chieri, a Racconigi. Si comprende così come, pur non man-
cando gli artigiani privi di terra se non di casa, le strutture dell’econo-
L’economia
135
71
pascale
,
Fisionomia territoriale
cit., p. 235.
72
rotelli
,
Una campagna medievale
cit. pp. 352 sgg.
73
L’effettivo agricolo, ossia la percentuale della popolazione che deteneva fondi rustici, si ag-
girava negli anni 1349-50 attorno al 71 per cento dei contribuenti torinesi, nel 1363 superava il 78
per cento, nel 1415 raggiungeva il 90 per cento.
74
pascale
,
Fisionomia territoriale
cit., p. 231.
75
barbero
,
Un’oligarchia urbana
cit., p. 135, sulla base di un confronto con la realtà produt-
tiva della Chieri cinquecentesca studiata da
l. allegra
,
La città verticale. Usurai, mercanti e tessi-
tori nella Chieri del Cinquecento
, Milano 1987, pp. 116-19.