

no, dove viceversa confluiva quanto i produttori torinesi, e probabil-
mente dei dintorni, non avevano destinato all’autoconsumo. Proprio al
mercato torinese, e talora ai maggiori mercati granari dei dintorni, era-
no infatti destinati con certezza i
surplus
produttivi delle grandi pro-
prietà. È significativo da questo punto di vista che, nella già menziona-
ta concessione in enfiteusi di 42 giornate di terreno a certi uomini di
Collegno da parte di Ribaldino Beccuti avvenuta nel dicembre 1409, si
prevedesse che la consegna annuale delle 4 moggia di cereali dovute co-
me canone dovesse avvenire, secondo le richieste del Beccuti, in Tori-
no o in Avigliana, che sappiamo essere importanti centri di mercato.
Quello di Torino doveva del resto essere nel Trecento un grosso mer-
cato agricolo, la cui vocazione almeno parzialmente cerealicola è evoca-
ta dalla presenza in città della
curia grani
, l’attuale piazza Corpus Do-
mini non lontana da quella del mercato davanti al Municipio, dove per
antica tradizione – dicono gli statuti – si commerciavano «grana et le-
gumina». Vivacizzato da scambi fra pianura e montagna, esso era per lo
più alimentato dalla produzione cerealicola e viticola locale e, in parte,
dall’attività pastorale e dalla vendita del pesce pescato nei numerosi cor-
si d’acqua che attraversavano il territorio torinese, il cui mercato si te-
neva nella piazzetta di San Gregorio
78
. La città, considerata con i suoi
immediati dintorni, non doveva avere grossi problemi di approvvigio-
namento, soprattutto per quanto riguarda il vino e i cereali, normal-
mente non calmierati dalle autorità comunali, che, per il periodo qui
considerato, fissarono assai raramente i prezzi del pane e del vino e sol-
tanto in momenti segnati da gravi crisi di sussistenza
79
.
A uno sguardo d’insieme le strutture agrarie del Torinese si presen-
tano così in tutta la loro complessità. Alle grandi proprietà detenute per
lo più dalla nobiltà
80
– che, pur orientate in senso policolturale, pratica-
vano soprattutto lo sfruttamento estensivo del terreno, l’allevamento e
colture, come quelle cerealicole, largamente richieste dal mercato – si
affiancavano quelle dei proprietari medio-piccoli, connotate anch’esse
L’economia
137
78
Ribaldino Beccuti: cfr. sopra, nota 63.
Curia grani
e mercato del pesce:
Gli statuti del comu-
ne di Torino
cit., pp. 41 sgg., cap. 57; pp. 56 sgg., cap. 99, con l’inquadramento di
s. a. benedet-
to
e
m. t. bonardi
,
Lo sviluppo urbano di Torino medievale
, in
Paesaggi urbani dell’Italia padana nei
secoli
viii
-
xiv
, Bologna 1988, p. 137. Commercio del bestiame: cfr. sopra, p. 122, testo corri-
spondente alla nota 50.
79
Calmieri:
m. t. sacco
,
Paesaggio agrario e storia dei prezzi nel Torinese dei secoli
xiv
-
xv
attra-
verso un sondaggio sugli ordinati comunali di Torino
, I, Torino 1980-81, Dattiloscritto presso il Di-
partimento di Storia, Sezione Medievale, Università di Torino, pp. 5-9 dell’Appendice. Approv-
vigionamento in vino:
benedetto
,
Viticoltori di città
cit., pp. 160-61. Cfr. sopra, p. 119, testo cor-
rispondente alla nota 45.
80
barbero
,
Un’oligarchia urbana
cit., pp. 67-69.