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mandorle, utensili in metallo, materiali da costruzione, acciaio, ferro

grezzo, carta e pergamena.

Una spezieria di cui, mezzo secolo prima, sono noti i detentori del

capitale è quella che Michelino, Antonio e Pietro, figli di Giovanni di

Monteacuto, avevano in società con Orsino di Cavaglià probabilmen-

te nel quartiere di Porta Pusterla. Di essa si conosce l’ammontare del

capitale dichiarato all’estimo del 1363 dai Monteacuto: 50 lire in mo-

neta di Vienne, 10 delle quali spettavano in realtà allo speziale Anto-

nio Descalcino che la conduceva. Si sa pure che, oltre alla quota della

spezieria, i Monteacuto erano proprietari di 46 giornate di terreno, di

una conceria e di una bottega di calzature. Anche il notaio Giovannet-

to del Poggio, proprietario di ben 70 giornate di terreno, aveva una

«apoteca speciarie», in cui, a suo dire, aveva investito 40 lire in mone-

ta di Vienne

107

.

Alla fine del

xiv

secolo, senza dubbio il periodo più documentato da

questo punto di vista, erano attive, contemporaneamente, in Torino al-

meno sette spezierie: quelle di Pietro Sasse, Filippo Aliberti, Stefano

Muratore, Antonio de Nicoloso, Martino Borgesio, Antonio Voirone e

Bartolomeo Iappa; nei primissimi anni del

xv

, quelle di Alessio di Bro-

zolo, Michele Borgesio, Nicolino de Crovesio, Onofrio de Triesto. Le

condizioni economiche e sociali dei loro proprietari erano diversissime.

La maggior parte degli speziali denunciava all’estimo del 1391 patrimoni

immobiliari assai ridotti, costituiti per lo più da una casa o da un sedi-

me, a cui si aggiungeva talvolta qualche giornata di terra, generalmente

di vigna. Non mancavano tuttavia persone che, avendo ereditato la spe-

zieria dal padre o appartenendo a famiglie tradizionalmente ben dotate

di beni fondiari, disponevano di un retroterra immobiliare assai più so-

lido e consistente. Così Bartolomeo, figlio dello speziale Antonio Iappa

detto Gobes, che continuava a trafficare nonostante avesse ceduto o af-

fittato la bottega paterna ad Antonio Voirone che ne gestiva una se-

conda nella propria abitazione adiacente alla chiesa di San Gregorio, di-

chiarava di possedere due case, un’aia con casetta e 9 giornate e mezza

di terreno: un patrimonio approssimativamente uguale a quello di suo

padre nel 1363, ma di poco superiore a quello denunciato dalla madre

Filippina, rimasta vedova, nel 1380, quando Bartolomeo, minore, era

ancora sotto la sua tutela. Martino Borgesio, di antica famiglia nobilia-

re, possedeva invece, oltre a vari fitti, quattro case e ben 70 giornate di

L’economia

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107

Pergamena originale della società fra Michele Borgesio e Oberto Calcagno in ASCT, Car-

te Sciolte, n. 3844, edita, con qualche imperfezione, da

c. raviola

,

Un antico documento sulla far-

macia torinese

, in «Minerva farmaceutica»,

xiii

(1964), fasc. 3, pp. 64-66.