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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)
centuata pressione dall’alto non consisteva sempre e soltanto nella sot-
tomissione, né in esplosioni di rabbia prive di sbocchi. Assai istruttiva,
a questo proposito, è l’evoluzione delle attitudini ufficiali nei confron-
ti di una pratica radicata, e potenzialmente minacciosa per l’ordine pub-
blico, come lo
charivari
; l’aggressione rituale, cioè, compiuta in maschera,
con strepito di campanacci, ma a volte anche con lancio di pietre e per-
fino con l’uso di armi, ai danni dei vedovi che si risposavano, delle gio-
vani che sposavano uomini anziani, delle donne che picchiavano il ma-
rito. Questo rituale, nella misura in cui può essere spiegato, esprime cer-
tamente il bisogno di punire, se non altro in termini simbolici, quei
comportamenti sessuali che offendevano la morale comune, e soprat-
tutto danneggiavano concretamente, sottraendo loro opportunità di ma-
trimonio, i giovani della comunità; quei giovani che non a caso ritro-
viamo in prima linea, di solito, fra i promotori dell’aggressione
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.
Nel 1343, il consiglio comunale torinese intervenne per la prima vol-
ta a proibire «ne fiant de cetero zevramari». Non è chiaro se la delibe-
ra indichi la subitanea apparizione della pratica, o non piuttosto un mu-
tato orientamento delle autorità cittadine, inclini ormai a reprimere ciò
che in passato era forse tacitamente tollerato. Quel che è certo è che la
delibera torinese rispecchiava una situazione comune a tutto il Piemonte,
giacché negli stessi anni si registrano interventi analoghi in molte altre
città: nel 1334, a Savigliano, vennero multate due persone accusate «fe-
cisse çaramari ante domum Biatricis de Rapolo»; a Ivrea il consiglio co-
munale dispose nel 1350 «quod nullus audeat cramare ceramarii»; a Pi-
nerolo la prima proibizione analoga, «quod nemo debeat, audeat vel pre-
sumat in Pynarolio facere zeramaritum», risale al 1353. Nel 1393 la
credenza torinese ribadì e precisò le proprie disposizioni «super inhi-
bendo ne zabramarita fiant de cetero, nec barerie in sponsalibus»: si vie-
tava, cioè, di sbarrare la strada alle spose, soprattutto quelle che anda-
vano in moglie a un forestiero, per costringerle a pagare un riscatto; e
si minacciavano ai responsabili pene assai severe, che giungevano fino
al taglio della mano. Nel 1401, infine, il consiglio comunale tornò an-
cora una volta sull’argomento, ordinando «quod non fiat zavramaritum
ad evitandum scandala que evenire forte possent».
La ripetizione dei divieti, tuttavia, è stata sempre considerata una
prova della loro scarsa efficacia; e non a caso proprio nei primi anni del
Quattrocento si manifesta per la prima volta una maggior flessibilità da
parte delle autorità locali, quasi che l’impossibilità di sradicare comple-
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Non è il caso di citare in questa sede l’ormai vasta bibliografia sullo
charivari
; sarà sufficiente
rimandare a
j. le goff
e
j.-c. schmitt
,
Le charivari
, Paris 1981.