

tamente quelle pratiche, e l’opportunità di cercar piuttosto di addome-
sticarle, cominciassero faticosamente ad essere comprese: nel 1401, al-
la proibizione dello
charivari
si aggiunse per la prima volta il permesso
di «redempciones fieri facere sponsis ducendis et qui maritabuntur ex-
tra civitatem». Nel 1420 questa linea più morbida risulta ormai preva-
lente: in quell’anno si ordina mediante «cride prohibitorie […] ne quis
audeat vel presumat facere zavramari», ma soltanto di notte e con l’uso
di schioppi o bombarde, segno che a patto di evitare manifestazioni
estreme e troppo poco controllabili lo
charivari
è ora tollerato
50
.
Vedremo più avanti, in questo stesso volume, come nel corso del
Quattrocento l’approccio apparentemente meno severo adottato dalle
autorità si sia rivelato per quello che era in realtà: ovvero un tentativo
di snaturare il rituale, svuotandolo delle sue valenze originarie e con-
trollandone sempre più da vicino lo svolgimento, nel momento stesso in
cui ufficialmente lo si tollerava. Ma vedremo anche che lo sforzo di di-
sciplinare, e anzi istituzionalizzare, la rabbia, la violenza e la voglia di
divertirsi dei giovani non ebbe sempre successo, sicché accanto a una
forma per così dire sterilizzata sopravvisse sempre, per emergere dram-
maticamente alla luce in momenti di tensione politica e sociale, una for-
ma di
charivari
assai più spontanea e violenta. Se è lecito considerare
questi sviluppi come metafora di un intero progetto di disciplinamento
dei costumi, e del suo esito finale, possiamo senz’altro concludere che
l’atteggiamento via via più repressivo adottato, sia pure in modo selet-
tivo, dalla giustizia torinese, in un momento in cui la città era spopola-
ta e impoverita come mai a memoria d’uomo, si rivelò nel complesso in-
capace di fare i conti con la crescita tumultuosa sperimentata dalla città
nel corso del Quattro-Cinquecento, e il concomitante moltiplicarsi del-
le occasioni di violenza; ma di ciò, appunto, si riparlerà più avanti.
Cr imi na l i t à e v i t a economi ca .
Il quadro della criminalità nella Torino trecentesca non sarebbe com-
pleto senza un accenno ai molti reati che costituivano parte integrante,
se non addirittura un lubrificante indispensabile, della vita economica.
Si pensi, intanto, all’estrema disinvoltura con cui molti, anche e soprat-
Gruppi e rapporti sociali
207
50
Cfr. per le disposizioni torinesi
f. neri
,
Le Abbazie degli Stolti in Piemonte nei secoli
xv
e
xvi
,
in «Giornale storico della letteratura italiana»,
xl
(1902), p. 3 e nota, e in particolare per quelle
del 1393, segnalate ma non trascritte dallo studioso, ASCT,
Ordinati
, 64, ff. 132-33; per Savi-
gliano e Ivrea,
comba
,
«Apetitus libidinis»
cit., pp. 553 sg.; per Pinerolo,
a. caffaro
,
Pinerolien-
sia
, Pinerolo 1906, pp. 27 sg.