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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)
tutto fra i notabili, si muovevano sul mercato della terra, giostrando
abilmente fra anticipi, ipoteche e confische. L’oste Giovanni de Col-
leto, avendo acquistato 20 giornate di terra e prato da Giovanni Vi-
sconti, si vide multare di ben 200 fiorini per la buona ragione che il pa-
trimonio del venditore era in quel momento sotto sequestro. Filippo
Beccuti venne multato per aver venduto due volte la stessa vigna, a due
compratori diversi: Bartolomeo Beamondi, canonico della cattedrale,
l’aveva comprata per 15 fiorini, ma poiché morì poco dopo, il Beccuti
non si fece scrupolo di rivenderla a Giovanni Probi, segretario del prin-
cipe, e questa volta per 28 fiorini, giacché alla vigna si aggiunse anche
un appezzamento di bosco. Giorgio Beccuti, condannato a pagare un
debito al suo creditore Gian Filippo Mazzocchi, gli diede in pagamen-
to una casa, che tuttavia risultò già ipotecata in precedenza a un altro
creditore.
Egualmente pittoresche erano le frodi reciproche fra soci in affari,
che potevano talvolta spingersi fino al puro e semplice furto: ancora
Gian Filippo Mazzocchi e la sua amante Michela furono multati per es-
sersi introdotti più volte in casa del cugino Romeo Mazzocchi mentre
quest’ultimo era fuori città, «tam per hostia quam per transversum» e
una volta perfino con una scala; per essere entrati nella camera del pa-
dron di casa con una chiave che si erano procurati grazie a un sotterfu-
gio, e averne portato via a più riprese parecchie derrate, fra cui una vol-
ta 13 staia di grano. Il tutto in pieno giorno e sotto gli occhi dei vicini,
col pretesto di esser stati incaricati da Romeo di pagare la taglia per suo
conto: conseguenza inattesa di quella solidarietà economica che univa i
congiunti anche di fronte al fisco e grazie alla quale più di una volta un
mercante assente dalla patria faceva presentare la propria dichiarazione
catastale da un consanguineo.
Ancora più frequenti, al punto di costituire non tanto l’eccezione
quanto la regola, erano frodi e illegalità commesse da determinate ca-
tegorie di commercianti, primi fra tutti gli osti; al punto che davvero,
nel loro caso, c’è da pensare che non fosse possibile praticare il me-
stiere, o almeno trarne consistenti guadagni, senza il ricorso a pratiche
vietate. Praticamente tutti gli osti attivi a Torino vennero multati al-
meno una volta durante la loro carriera per aver importato carri di vi-
no frodando la gabella, per averne venduto usando misure irregolari,
per aver acquistato pesce fuori dal luogo a ciò deputato dagli statuti, il
mercato davanti a San Gregorio, sfuggendo così ad ogni controllo igie-
nico e fiscale; o, ancora, per aver acquistato uova e pollame prima del-
l’alba, fuori cioè dell’orario stabilito per il mercato. Va da sé, poi, che
gli osti annacquavano il vino, a scorno della legge che proibiva addi-