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gliasco, clavario dal 1372 al 1378, che diede in sposa la figlia Giacobi-

na allo speziale torinese Antonio Voirone

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.

La vena l i t à deg l i uf f i c i .

Benché il profilo sociale dei funzionari sabaudi sia piuttosto varie-

gato, tutti quanti possono essere considerati funzionari di professione;

non nel senso che la loro attività sia limitata al servizio ch’essi svolgo-

no per conto del principe, ché anzi tutti quanti si dedicano attivamen-

te a traffici e speculazioni, alla professione giuridica o notarile, all’am-

ministrazione delle proprie terre; ma piuttosto nel senso che quasi tut-

ti detengono uffici in modo sistematico nel corso della loro vita, e anzi

in qualche caso ne occupano contemporaneamente più d’uno. Ma che

cosa significava, per un nobile, un giurista o un notaio del Trecento, as-

sumere un ufficio al servizio del conte di Savoia o del principe d’Acaia?

Rispondere a questo interrogativo, soprattutto per quanto riguarda le

implicazioni economiche, è essenziale, se non vogliamo correre il rischio

di figurarci in termini anacronistici gli ufficiali operanti a Torino e il lo-

ro rapporto con la città.

Formalmente, tutti i funzionari sabaudi nel periodo qui considerato

assumono l’incarico alle medesime condizioni, giurando di esercitare

«bene et fideliter» l’ufficio loro affidato, e con uno stipendio annuo

piuttosto elevato, che può giungere fino a 300 fiorini all’anno nel caso

del vicario.

Le loro lettere di nomina sono sempre per la durata di un solo anno

«et ultra, quamdiu benefecerit seu nobis placuerit», e sebbene quasi tut-

ti durino in carica almeno tre o quattro anni, e alcuni molto di più, ap-

pare evidente che il principe si riserva il diritto di sostituirli in qualsia-

si momento. Si tratta insomma di funzionari stipendiati, tenuti a ren-

der conto della loro amministrazione fino all’ultimo grosso, e amovibili

a piacere del principe; un profilo che sembra escludere ogni elemento di

venalità degli uffici.

Senonché in molti casi risulta che gli ufficiali erano creditori al prin-

cipe di somme cospicue. Il vicario Perino Malabaila era in carica ormai

da sei anni quando, nel 1386, Amedeo d’Acaia riconobbe di dovergli

2368 fiorini, e chiese al comune di Torino di pagarli, anticipandoli sui

futuri sussidi; tutto lascia pensare che proprio in virtù del suo credito,

il cui ammontare pare toccasse in origine i 3000 fiorini, il Malabaila aves-

Torino sabauda

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ASCT, Marm. 1391, f. 5

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