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tanto fra i nobili quanto fra i popolari, erano chiamati a ricoprirlo die-

ci, quindici volte nel corso della loro carriera; molti altri soltanto una,

due o tre volte; pochi, però, erano quelli che non vi accedevano neppu-

re una volta.

La c l a s s e po l i t i ca .

Nel corso dei centocinquant’anni, o quasi, presi in considerazione in

queste pagine il governo del comune di Torino è spartito, in condizioni

di approssimativa parità, fra nobili e popolari. Torino non segue dun-

que la strada di quelle città italiane, come Firenze, dove la ricchezza

mercantile e finanziaria prevale largamente su quella terriera, sicché ban-

chieri e mercanti giungono a escludere dal governo, attraverso le leggi

antimagnatizie, il preesistente ceto nobiliare; ma neppure quella, rap-

presentata ad esempio da Venezia, d’una precoce serrata nobiliare, vol-

ta a escludere qualsiasi partecipazione popolare, o comunque di uomini

nuovi, al governo cittadino. Il comune torinese segue piuttosto l’esem-

pio di Genova, o dell’ancor più vicina Asti, dove le cariche cittadine so-

no ufficialmente ripartite fra il gruppo, più o meno chiuso, delle fami-

glie nobili, eminenti per l’antichità della stirpe e il possesso fondiario,

e quello assai più ampio e almeno inizialmente più aperto costituito dal-

le famiglie la cui ricchezza, di origine più recente, si fonda ancora so-

prattutto sui traffici

15

.

A dire il vero, solo nel 1360 gli statuti, riprendendo le franchigie con-

cesse in quello stesso anno dal conte Amedeo VI, sanciscono ufficial-

mente tale spartizione, decretando che ogni tre mesi saranno scelti per

l’ufficio di clavario «quatuor ex credendariis Taurini, silicet duos ex no-

bilibus seu ex hospiciis et duos de populo»; ma già prima di quella da-

ta, e a partire almeno dal 1325, quando disponiamo per la prima volta

di dati in proposito, le quaterne dei clavari appaiono quasi sempre sud-

divise in parti uguali fra nobili e popolari

16

. La stessa parità si ritrova,

approssimativamente, nella composizione del consiglio di credenza, sia

Torino sabauda

223

15

j. heers

,

Gênes au

XV

e

siècle

, Paris 1961;

r. bordone

,

Progetti nobiliari del ceto dirigente del

comune di Asti al tramonto

, in «BSBS»,

xc

(1992), specialmente p. 442. Torino peraltro si distin-

gue radicalmente da entrambe le città non solo, com’è ovvio, per le dimensioni comparativamen-

te ridotte e lo scarso peso economico, ma anche per la minor partecipazione dei suoi nobili all’at-

tività commerciale e finanziaria, sicché la distinzione fra nobili e popolari appare qui più sostan-

ziale di quanto non accada a Genova o Asti.

16

Cfr. per le franchigie e la successiva redazione statutaria

f. sclopis

,

Statuta et privilegia ci-

vitatis Taurinensis

, in

HPM

, II,

Leges municipales

, I, c. 544, e BSSS, 138/1, p. 146; gli elenchi dei

clavari sono editi in

benedetto

,

bonardi

e

roccia

,

L’amministrazione civica

cit.