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3.

La repressione dell’opposizione politica.

La f i ne de l l e l ot t e d i pa r t e .

Nel corso del Trecento si osserva a Torino un progressivo rafforza-

mento del controllo esercitato dal principe e dai suoi ufficiali sulla vio-

lenza dei magnati. Nel secolo precedente gli scontri tra le fazioni in-

sanguinavano le strade, e poteva accadere che le monache di Santa Chia-

ra fossero costrette ad abbandonare la città per sfuggire alla guerra civile:

racconta infatti fra Salimbene che il suo confratello fra Bonifacio, in-

caricato di sovrintendere ai monasteri delle Clarisse nella provincia di

Lombardia, «habebat aliquas dominas per monasteria collocare, eo quod

apud Taurinum civitatem Lombardie propter guerrarum abundantiam

minime stare possent»

19

. I nobili torinesi tardarono a comprendere che

la soggezione ai Savoia aveva mutato radicalmente le prospettive del

confronto politico, e del resto la dinastia transalpina sembra aver fati-

cato a far pesare la sua autorità in modo efficace sulla comunità da po-

co assoggettata; sicché nei cinquant’anni che separano l’ingresso di Tom-

maso III in città dalla congiura degli Zucca continuano a segnalarsi vio-

lenti scontri di piazza, a carattere dichiaratamente politico, benché ancor

sempre radicati in un fitto tessuto di vendette familiari.

Nel 1319, ad esempio, le risse «inter partes Taurini», in cui erano

coinvolti soprattutto gli Arpino e i Pellizzoni, erano così violente che il

primicerio della cattedrale, Tommaso Pellizzoni, dichiarò di non poter

intervenire di persona all’elezione del nuovo vescovo, «propter inimi-

citias capitales quas ipse et alii de domo sua et parte eorum habent in

civitate Taurini»; e Filippo d’Acaia non poté far altro che proporre la

sua mediazione «pro pace Arpinorum et aliorum». Pochi anni dopo, nel

1324, un Provana, membro di una delle maggiori famiglie della nobiltà

piemontese, allora radicata anche a Torino, uccise un Tavani e uno Iap-

pa, entrambi popolari torinesi, e per evitare che la faida si inasprisse il

principe costrinse cinque uomini, tutti dei Tavani, a giurare di mante-

nere la pace con i Provana, i loro amici e seguaci. Nello stesso anno in-

Torino sabauda

229

19

salimbene de adam

,

Cronica

, a cura di G. Scalia, I, Bari 1966, p. 88. Il seguito, in cui Sa-

limbene racconta con gusto le traversie cui andò incontro una delle

domine

in questione, colloca-

ta provvisoriamente nel monastero di Chiavari e ricevuta assai male dalla badessa, dimostra che

non di «signore torinesi» genericamente si trattava (così

c. violante

,

Motivi e caratteri della Cro-

nica di Salimbene

, in «Annali della Scuola Normale di Pisa»,

xxii

[1953], p. 113), ma delle mona-

che di Santa Chiara; il cronista infatti designa la protagonista regolarmente con l’appellativo di

so-

ror

(

salimbene de adam

,

Cronica

cit., pp. 89-92).