

botteghe dai commerci bene avviati, potevano aspirare a essere coopta-
ti in consiglio comunale; così come tutti sapevano che alla morte di un
consigliere il figlio o il nipote avrebbero tentato di subentrare al suo po-
sto. Questo era anzi il criterio ufficialmente seguito per la nomina dei
nuovi credendari, che i clavari dovevano scegliere e proporre all’appro-
vazione della credenza: a più riprese quest’ultima approva ordini del
giorno in cui si dichiara che in sostituzione del consigliere defunto do-
vrà essere nominato il figlio, o in mancanza di figli un altro membro del-
la famiglia che sia in grado di occupare degnamente il posto
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.
Questi interventi non impedivano, in realtà, che uomini nuovi fos-
sero continuamente cooptati nelle file del consiglio; ma in misura de-
crescente, per quanto possiamo giudicare, col trascorrere del tempo. Nel
corso del Trecento la contrazione demografica, il ridursi dei flussi di im-
migrazione, e soprattutto il sensibile venir meno delle opportunità di
successo per i nuovi venuti permisero al consiglio di riprodurre se stes-
so in misura sempre maggiore. Il primo elenco di consiglieri conservato
nella sua integrità risale al 1325; se confrontiamo questo elenco con quel-
lo di quarant’anni dopo, constatiamo che nel 1365 solo 10 consiglieri
popolari su 32 appartengono a famiglie che erano già rappresentate in
consiglio quarant’anni prima. Nel 1405, invece, sono ben 21 su 36 i con-
siglieri popolari i cui padri o zii sedevano già quarant’anni prima sugli
scranni della credenza; segno che l’accesso di uomini nuovi, senza in-
terrompersi, si è drasticamente ridotto, e che la maggior parte dei con-
siglieri di popolo assomiglia ormai ai nobili da questo punto di vista.
Si potrebbe obiettare, naturalmente, che fra il 1325 e il 1365 Torino
fu investita da due grandi epidemie di peste, che determinarono senza
dubbio la scomparsa di molte famiglie; per non parlare della congiura del
1334, la cui repressione comportò l’espulsione dal consiglio e dalla città
non solo dei nobili Sili e Zucca, ma anche di molti loro seguaci di condi-
zione più modesta. Ma anche nel quarantennio successivo, fra il 1365 e
il 1405, si contano due gravi epidemie di peste, per non parlare dei di-
sastri della guerra, che proprio nell’ultimo decennio del Trecento e nei
primissimi anni del secolo successivo significò la morte, il fallimento o
l’emigrazione per molti Torinesi, anche di condizione rispettabile. Pos-
siamo dunque dedurne che se le prime difficoltà abbattutesi sulla città
produssero un più rapido rinnovamento del ceto politico, il prolungarsi
Torino sabauda
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ASCT,
Ordinati
, 16, ff. 156
v
-57
r
; 22, f. 25
r
; 23, f. 19
v
; 29, f. 89
v
; 38, f. 26
r
. Si noti an-
che il caso del notaio Bertolino Arpino, che nel 1382, «propter eius senitutem et certam infirmi-
tatem quam ipse patitur», chiese e ottenne di far nominare al suo posto il nipote Giovanni (22,
f. 63
v
).