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parentele di condizione popolare, così come possiamo ricostruirle attra-

verso i catasti, risultano invece costituite da uno, due, raramente tre o

quattro capifamiglia, imparentati fra loro, di solito, in grado molto stret-

to, fratelli o al massimo cugini; com’è logico dato che la loro storia e la

loro memoria risalivano all’indietro nel tempo per un periodo assai più

breve. Eredità di un passato in cui la consistenza numerica e la solida-

rietà collettiva del gruppo, in assenza della disciplina imposta da un po-

tere superiore, costituivano un’arma risolutiva nella concorrenza delle

fazioni, l’esuberanza demografica delle maggiori famiglie non serviva

più a soverchiare materialmente gli avversari negli scontri di piazza, ma

ad occupare fisicamente un numero preponderante di seggi nella cre-

denza: dove infatti i Beccuti contano costantemente sei o sette consi-

glieri, i Borgesio e i da Gorzano cinque o sei, i della Rovere tre o quat-

tro, mentre le famiglie popolari non ne hanno mai più di uno, o al mas-

simo due.

Eppure verso la fine del Trecento, quando la pacifica collaborazio-

ne fra nobili e popolari che aveva contraddistinto fino a quel momento

la vita del comune lasciò il posto a riacutizzate tensioni, i nobili dovet-

tero constatare di non aver più la forza necessaria per sfidare frontal-

mente il popolo sul terreno politico. Il 19 maggio 1392, il consiglio co-

munale fu chiamato a votare sulla proposta di appaltare una delle prin-

cipali fonti di entrata del comune, l’imposta sui mulini, e di impiegare

il ricavato per pagare i debiti e le spese della Società di San Giovanni

Battista. I credendari dei Borgesio, dei Beccuti e dei da Gorzano giu-

dicarono scandalosa la prospettiva di usare denaro pubblico per finan-

ziare un’associazione di parte come la Società, da cui essi erano uffi-

cialmente esclusi; perciò rifiutarono di votare, e anziché deporre nelle

bussole i gettoni bianchi e neri li depositarono sul banco davanti agli

scranni del vicario e del giudice. La loro opposizione, tuttavia, non ri-

sultò sufficiente a bloccare il provvedimento, anzi essi subirono quel

giorno una sonora disfatta politica: non solo, a quella data, la rappre-

sentanza popolare in consiglio era più forte che mai, potendo contare

come s’è detto su ben 34 consiglieri contro 25 nobili, non solo l’assen-

teismo fra i nobili era assai più forte che fra i popolari, risultando as-

senti il giorno della votazione ben nove consiglieri nobili contro appe-

na cinque popolari, ma lo stesso partito nobiliare era diviso.

La Società di San Giovanni Battista infatti, benché nata con l’in-

tenzione di escludere dai suoi ranghi tutti i cittadini «de albergo», di

fatto discriminava soltanto le famiglie magnatizie dei Beccuti, Borge-

sio, della Rovere, da Gorzano, Sili e Zucca, le due ultime ormai non più

Torino sabauda

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