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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

pure con un certo squilibrio complessivo a favore dei popolari: fra il 1325

e il 1418 conosciamo i nomi di 151 consiglieri nobili e 194 di popolo.

Anche in questo caso, il 1360 non sembra rappresentare una svolta, poi-

ché già nel 1333 la credenza comprende 36 nobili e 38 popolari; nel

1365, in un consiglio assai meno numeroso, le cifre scendono rispetti-

vamente a 28 e 32. La prevalenza popolare si fa momentaneamente più

significativa verso la fine del Trecento, quando la fondazione della So-

cietà di San Giovanni Battista segna il riacutizzarsi delle tensioni so-

ciali, e una ripresa della diffidenza popolare nei confronti dei magnati:

nel 1392 i nobili in consiglio di credenza erano scesi a 25, di fronte a 34

popolari. Ma già nel 1418, in un contesto sociale più disteso, che avreb-

be consentito al duca di sciogliere l’anno seguente la Società senza su-

scitare proteste di sorta, il rapporto tendeva a riequilibrarsi, giacché 27

consiglieri erano nobili e 32 popolari.

Chi era rappresentato in consiglio? Consideriamo innanzitutto il pe-

so politico dei nobili. All’inizio del Trecento la rappresentanza nobilia-

re comprendeva ancora gli esponenti di quasi tutte le famiglie di gran-

di proprietari terrieri, vassalli del vescovo, del marchese di Monferrato

e del conte di Savoia, che già nei secoli precedenti avevano governato il

comune, e le cui genealogie risalivano in qualche caso fino a ridosso del-

l’anno Mille: Sili, Zucca, della Rovere, Beccuti, Borgesio, Porcelli, Pran-

di, Arpino, Cagnasso… La congiura del 1334, con la conseguente li-

quidazione delle famiglie compromesse nella fallita sedizione, e le pau-

rose epidemie di peste che investirono ciclicamente la città a partire dalla

metà del secolo, ridussero drasticamente il numero delle famiglie nobi-

li, benché qualche famiglia di origine o di immigrazione più recente, co-

me i da Gorzano o gli Ainardi, fosse accolta negli stessi anni all’interno

della nobiltà. Per oltre quarant’anni, fino all’inizio del Quattrocento,

l’ufficio di clavario «pro hospicio» venne ricoperto con assoluta regola-

rità, trimestre dopo trimestre, dagli esponenti di sei sole famiglie: pri-

ma un Borgesio e un Beccuti, poi un della Rovere e un da Gorzano, quin-

di un Arpino e un Ainardi, con un meccanismo perfettamente oliato di

alternanza.

Ognuna di queste famiglie, com’è ovvio, godeva di ampia influenza

sulla vita cittadina, e in particolare le prime quattro esercitavano un pe-

so decisivo nel governo della città: basti pensare che fra il 1325 e il 1418

sedettero sui banchi della credenza ben 34 Borgesio, 30 Beccuti, 18 da

Gorzano e 18 della Rovere. A questa influenza non era estranea la con-

sistenza numerica delle parentele nobiliari, incomparabilmente più ar-

ticolate di quelle popolari: nel 1363 erano iscritti a catasto ben 21 capi-

famiglia dei Borgesio, 11 dei Beccuti, 7 da Gorzano, 6 della Rovere. Le