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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

rappresentate in consiglio comunale; mentre quei nobili che appartene-

vano ad alberghi giudicati di minore pericolosità, come gli Ainardi e gli

Arpino, potevano tranquillamente farne parte. Non solo, ma già all’in-

domani della rifondazione vi erano stati ammessi «non obstante capi-

tulo» i figli di Brunetto della Rovere, che a differenza degli altri della

Rovere risiedevano stabilmente a Torino e non esercitavano diritti si-

gnorili nelle campagne; sicché il loro profilo magnatizio risultava consi-

derevolmente attenuato agli occhi dei concittadini. E proprio Ardizzo-

ne Arpino, Nicolò Ainardi e Pietro della Rovere votarono a favore del-

la delibera contro gli altri nobili, che risultarono così in schiacciante

minoranza, con appena 13 voti su 45

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.

I nobili, peraltro, avrebbero imparato in fretta la lezione. Il sangue

prezioso trasmesso dagli antenati, la ricchezza fondiaria con cui nessun

mercante o speculatore poteva competere, i castelli ch’essi possedevano

nella campagna e i diritti signorili che esercitavano sui rustici, lo stesso

diritto, ufficialmente garantito dagli statuti, di occupare stabilmente

metà delle più importanti magistrature, erano tutti elementi che garan-

tivano ai Beccuti e ai della Rovere, ai Borgesio e ai da Gorzano un po-

sto di primo piano in città; ma ora che i popolari, allarmati appunto dai

troppi vantaggi di cui godevano i magnati, s’erano organizzati in So-

cietà, e che il diritto di appartenere a quest’ultima, negato agli uni, con-

cesso agli altri, s’era rivelato così appetibile da sgretolare la compattez-

za della fazione nobiliare, non conveniva proseguire sulla linea dello

scontro aperto. Tutto indica che nonostante qualche strascico i rappor-

ti fra nobili e popolari all’interno del consiglio di credenza non furono

mai più così cattivi come negli anni intorno al 1390; e proprio questa

rinnovata capacità di collaborazione consentì alle maggiori famiglie no-

bili di sfruttare fino in fondo i vantaggi di cui godevano. Rinunciando

a voler conquistare a tutti i costi una posizione egemonica, e accettan-

do addirittura di trovarsi occasionalmente in minoranza all’interno del

consiglio di credenza, i nobili continuarono indisturbati a occupare i pri-

mi posti in città, sia sul piano politico sia su quello economico.

E i popolari? Purtroppo non disponiamo, prima del 1360, degli elen-

chi completi dei consiglieri, che ci consentirebbero di studiare statisti-

camente la rappresentatività del consiglio di credenza; sembra tuttavia

di poter affermare che essa andò progressivamente restringendosi nel

corso del periodo qui considerato. In una certa misura, naturalmente,

era sempre stato sottinteso che soltanto cittadini rispettabili, padroni di

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ASCT,

Ordinati

, 33, ff. 33-34.