

prima dell’alba per andare alla fiera di Bussoleno, era stato tirato giù da
cavallo e strangolato da sconosciuti, e un prete che era uscito in strada
sentendo le sue grida era stato a sua volta ammazzato, per non lasciare
testimoni. Sotto tortura il Ragno beccaio, uno dei principali complici del
prevosto Giovanni Zucca, confessò di aver prestato manforte, a suo tem-
po, a Pietro Silo e Saracco Silo per quel duplice omicidio; Pietro Silo,
infatti, aveva dei vecchi conti da regolare con Pietro de Bezano, e lui,
Ragno, era sempre stato amico dei Sili, e della loro fazione. Il beccaio
venne impiccato, dopo aver tentato di tagliarsi la gola in carcere, e co-
me lui venne impiccato il bastardo Enrietto Zucca, ch’era stato il prin-
cipale agente della congiura; Pietro Silo e Bertolotto Silo vennero de-
capitati soltanto più tardi, nel 1338, dopo aver violato il confino cui
erano stati condannati; altri congiurati, soprattutto ecclesiastici, scam-
parono, ma insomma è chiaro che in seguito al fallimento della congiu-
ra la giustizia del principe aveva assunto un vigore inizialmente scono-
sciuto
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Non solo, infatti, le liti divennero meno frequenti dopo la cacciata
della fazione più turbolenta; ma cambiò anche il modo di affrontarle.
Nel 1336, una lite fra i Borgesio e i Pellizzoni richiese ancora una vol-
ta l’intervento diretto della reggente Caterina d’Acaia, che tuttavia non
si limitò più a uno sforzo di pacificazione, ma assunse per la prima vol-
ta un carattere decisamente punitivo: tre fra i maggiori esponenti dei
Borgesio vennero condannati al confino. Il messaggio non avrebbe po-
tuto essere più esplicito: l’autorità sabauda, ormai, era in grado di im-
porre la propria legge in città, senza dover risparmiare la suscettibilità
dei magnati. Non che la funzione arbitrale del principe sia immediata-
mente venuta meno, ché anzi proprio in quel torno di tempo la reggen-
te fu chiamata più volte ad arbitrare litigi fra i notabili torinesi; ma or-
mai erano proprio costoro a rivolgersi a lei, chiedendole di risolvere le
loro questioni e sottomettendosi volontariamente al suo giudizio. Se
qualcuno avesse voluto rimettere in onore i vecchi sistemi, regolando i
propri litigi con la spada, era sottinteso che non doveva attendersi me-
diazioni né offerte di pacificazione, ma processo e punizione, al pari di
chiunque altro avesse violato la legge. Con ciò non s’intende suggerire
che al nobile colpevole di violenza o di omicidio venisse a mancare, co-
me del resto a chiunque altro, uno spazio di mediazione, né che l’azio-
ne delle autorità si manifestasse in forme impersonali e implacabili; ma
è un fatto che dopo il 1334 le rivalità fra le famiglie torinesi costitui-
Torino sabauda
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Cfr. per tutto ciò gli atti del processo contro i congiurati, in AST, Corte, Provincia di To-
rino, mazzo 1, n. 9; e il prossimo paragrafo di questo stesso capitolo.