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cati come quelli vigenti allora in Piemonte non conveniva al principe

d’Acaia sbilanciarsi fino in fondo. Il bastardo, ch’era stato il principale

esecutore, venne processato all’istante e impiccato il 23 ottobre davan-

ti a Porta Palazzo, nel luogo stesso in cui doveva consumarsi il suo tra-

dimento. Alcuni altri congiurati, catturati nel combattimento del 12 set-

tembre, vennero egualmente impiccati, ma fra loro non c’era nessun no-

bile né ecclesiastico, nessuno dei Sili né degli Zucca; Pietro Silo, che

pure era fra i più compromessi, se la cavò col bando da Torino e il con-

fino a Moncalieri. È vero che in seguito venne nuovamente processato,

per sospetto di nuovi tradimenti, e decapitato, insieme a Bertolotto Si-

lo, il 12 febbraio 1338. La maggior parte dei Sili e degli Zucca, e con lo-

ro parecchi popolari egualmente compromessi nella congiura, Biscotti,

de Crovesio, Floriti, Marentini, andarono in esilio, senza che la giusti-

zia del principe riuscisse più a mettere le mani su di loro.

Il prevosto Giovanni Zucca e gli altri canonici compromessi nella

congiura fuggirono dalla città; il vescovo li privò dei loro benefici, e il

principe d’Acaia confiscò i loro possedimenti. Ma almeno per l’artefice

della congiura il seguito della vicenda ebbe toni da commedia piuttosto

che da tragedia. In un primo momento lo Zucca si rifugiò a Saluzzo, do-

ve rimase parecchi mesi, non senza scrivere a Torino che gli mandasse-

ro i suoi libri; poi passò a Milano, dove presentò querela presso la curia

metropolitana, sostenendo che il vescovo non aveva alcun diritto di spo-

gliarlo della prevostura. L’arcivescovo di Milano, da buon ghibellino,

prese lo Zucca sotto la sua protezione, gli assegnò per intanto un cano-

nicato a Novara, e sentenziò in suo favore, minacciando di interdetto e

scomunica il vescovo e i canonici di Torino se non gli avessero restitui-

to la prevostura; occorre attendere il 23 giugno 1339 perché la senten-

za milanese sia cassata da un’opposta sentenza della curia avignonese,

promulgata grazie all’intervento di Giacomo d’Acaia, e in cui si giudi-

cano senza valore le pretese dello Zucca

29

.

Si avrebbe torto, insomma, a credere che il fallimento della congiu-

ra abbia significato immediatamente la rovina dei suoi fautori; il prin-

cipe d’Acaia aveva ancora bisogno di governare col consenso più che col

Torino sabauda

237

29

Cfr. l’ordine di sequestro in

f. gabotto

,

Inventario dell’Archivio Comunale di Moncalieri

, in

«Miscellanea di Storia Italiana», serie III,

v

(1900), doc. 604, e la sentenza papale in AAT, Ar-

chivio Capitolare, Pergamene, I, n. 110; il documento, inedito, accoglie le ragioni del principe e

della Chiesa torinese contro «Iohannes Zuca qui dudum, ut ipsi exponentes aserebant, perdicio-

nem et sedicionem civitatis Taurinensis predicte tractavit et ausus fuit quantum potuit eas dedu-

cere ad effectum, prout notorium in partibus illis existere dicebatur, volens eiusdem Iacobi terras

et homines ac eosdem episcopum, prepositum, archipresbiterum, cantorem, canonicos et capitu-

lum tassare laboribus et expensis et minis, et minus veraciter asserens se prepositum dicte ecclesie

spoliatum».