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dizione. Nel 1363, Amedeo VI condannò a morte Bartolomeo e Loren-

zo figli di Michele Mozzi, che avevano tramato per riconsegnare Tori-

no al principe d’Acaia: i conti del clavario riportano infatti che i due

«propter prodicionem quam facere proposuerant contra dominum tra-

dendo castrum et villam Taurini domino principi fraudulenter mortui

sunt, unus per iusticiam et execucionem, alter fugitivus propter hoc de-

cessit», e i loro beni vennero in conseguenza confiscati

32

.

Anche dopo il ritorno degli Acaia il governo continuò a mostrarsi so-

spettoso; il sequestro dei beni e l’espulsione dalla città, se non addirit-

tura il patibolo, continuavano a incombere su chi dava motivo di dubi-

tare della sua fedeltà alla dinastia. Nel catasto del 1415, 38 giornate già

appartenute a Domenico, Giovanni e Martino Capra risultano confi-

scate dal principe sotto l’accusa di tradimento e donate al suo segreta-

rio Giovanni Probi; nel novembre di quello stesso anno le 56 giornate

dell’oste Giacomo Capra vennero egualmente confiscate «propter sua

demerita» e donate a un uomo d’armi del principe; non sorprende che

l’ultimo esponente della famiglia rimasto a quel punto in città, un altro

Giacomo Capra detto Begat, sia scomparso a sua volta dalla scena in

breve tempo, così che poco dopo le sue 21 giornate erano passate nelle

mani di un altro proprietario

33

.

Non c’è dubbio, comunque, che nonostante questi episodi la tem-

peratura politica della città si era assai raffreddata, nella seconda metà

del Trecento, rispetto all’epoca precedente la congiura degli Zucca. Ma

se la minaccia rappresentata dalla fazione ostile alla dominazione sa-

bauda appare, dopo il 1334, sostanzialmente trascurabile, non manca-

no anche dopo questa data segnali di un malessere di natura diversa;

radicato non tanto nei contrasti fra le fazioni nobiliari, quanto nell’in-

soddisfazione del popolo minuto per l’involuzione oligarchica del co-

mune, e nelle ambizioni di qualche nobile isolato, disposto a tramutar-

si in capopopolo. È il caso di Antonietto Borgesio, signore di Bruino,

uno dei più ricchi fra i membri degli alberghi cittadini; protagonista nel

1383 di una sedizione che, pur concludendosi senza conseguenze di ri-

lievo, ricorda da vicino i tumulti esplosi negli stessi anni, con ben altro

effetto, in tante città d’Italia e d’Europa

34

.

Antonietto, per quanto ne sappiamo, non era in buoni rapporti con

la sua famiglia, e più di una volta gli era accaduto di far bastonare i ser-

Torino sabauda

239

32

CCT, rot. 35.

33

ASCT, Nuova 1363, ff. 48

rv

, 67

r

, 75

v

; Dor. 1415, ff. 5

v

, 70

v

, 88

v

.

34

Cfr. per questa vicenda CCT, rot. 46 e 47, e i conti di tesoreria riportati in

saraceno

,

Re-

gesto dei principi di Casa d’Acaia

cit., p. 235.