

pagamento di 200 fiorini; e proprio per cercar di risolvere quel conten-
zioso il prevosto aveva dovuto recarsi a Saluzzo. Qui, raccontò lo Zuc-
ca al prete Michele, il marchese gli fece intendere che c’era modo di ri-
sparmiare tutto quell’oro, e anzi che per lui, Giovanni, c’era da guada-
gnare molto di più, se soltanto avesse voluto. Bastava, aveva continuato
Federico, che il prevosto trovasse il modo di consegnargli una delle por-
te di Torino; cacciato il presidio savoiardo, anche le famiglie che soste-
nevano il principe d’Acaia sarebbero state bandite, le loro case e le lo-
ro ricchezze saccheggiate, e gli Zucca e i Sili si sarebbero ritrovati pa-
droni di Torino. Per giunta, il marchese di Saluzzo e il siniscalco angioino
avrebbero saputo manifestare al prevosto la loro gratitudine, e certa-
mente gli avrebbero ottenuto un episcopato in Lombardia. Quanto al
denaro che il canonico Oddone Silo, detto Testa, doveva per la chiesa
di Acceglio, il marchese Federico non si sentiva di rinunciarvi del tut-
to, ma era disposto a restituirne la metà: che il prevosto tornasse a casa
sua, a Torino, e meditasse su quel che gli era stato detto.
L’ambizione personale del prevosto era dunque la leva su cui il mar-
chese di Saluzzo, allora in guerra col principe d’Acaia, aveva deciso di
fare appoggio per cercare di sottrargli la città; ma quell’ambizione non
avrebbe avuto alcun significato se la sua famiglia, e i suoi amici, dopo
esser stati per tanto tempo determinanti nel comune di Torino, non aves-
sero veduto venir meno la loro influenza e il loro prestigio, tanto da es-
sere pronti a rischiare tutto per prendere il potere e vendicarsi dei loro
nemici. E proprio lo scatenarsi delle vendette, nelle parole di un altro
testimone, doveva essere l’esito infallibile della congiura: il bastardo En-
rietto Zucca, richiesto dal giudice se fossero previsti ammazzamenti e
ruberie, rispose di sì, e che sarebbero stati i Sili e gli Zucca a decidere
le vittime. Non sorprende che questa prospettiva sia parsa piacevole al
prevosto, che non tardò a confidarsi con gli altri canonici dei Sili e de-
gli Zucca che sedevano con lui in capitolo cattedrale, e con i propri pa-
renti, a cominciare dal fratello; tutti quanti si dissero d’accordo. Allora
lo Zucca mandò una lettera al marchese Federico, per mezzo del ba-
stardo, assicurandolo che non aveva dimenticato ciò di cui s’era parla-
to; anzi se ne stava occupando attivamente, e credeva che molti avreb-
bero acconsentito. Il marchese rispose che avrebbe radunato gli uomini
d’arme necessari per fare il colpo, e non appena li avesse avuti sotto ma-
no, avrebbe scritto al prevosto che il denaro del canonico Testa era pron-
to; al ricevere quel messaggio apparentemente innocuo, lo Zucca avreb-
be saputo che il momento era giunto.
Erano i primi di maggio, e il principe d’Acaia assediava San Giorgio
Canavese, castello del marchese di Monferrato; con lui, al campo, c’era-
Torino sabauda
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