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alla coesione dell’oligarchia cittadina, ma che a parte questo operava a

tutti gli effetti in ambito privato

6

.

All’inizio del Quattrocento, a dire il vero, il principe d’Acaia, e an-

cora più tardi il procuratore fiscale del duca di Savoia, vollero rivendi-

care la natura pubblica dei pedaggi, intentando causa al consorzio dei

possessori; i giudici, tuttavia, diedero regolarmente ragione a questi ul-

timi, sicché quel prelievo, che pure assomigliava in tutto e per tutto a

un prelievo fiscale, continuò ad essere gestito privatamente. Era natu-

ralmente possibile trarre profitto dai pedaggi anche in maniere meno le-

cite: nel 1384 il notaio Guigone Ponzio fu costretto a restituire 6 fiori-

ni che aveva estorto a due mercanti, sorpresi mentre conducevano le lo-

ro mercanzie nel territorio di Torino senza pagare pedaggio, in cambio

della promessa di non denunciarli; ma anche in questo caso siamo ben

al di fuori dell’ambito della finanza comunale

7

.

Carattere esclusivamente pubblico aveva invece la riscossione del-

le gabelle; benché anche in questo caso il comune non fosse il solo be-

neficiario. In origine la comunità torinese aveva il diritto di imporre

gabelle soltanto dietro esplicita autorizzazione del principe, il quale

per parte sua si riservava la facoltà di esigerne altre a proprio esclusi-

vo profitto

8

.

Ma nel febbraio 1366 Giacomo d’Acaia, sempre intento, come egli

stesso dichiarava, a vegliare assiduamente alle comodità dei sudditi, de-

cise di abolire e rimettere al comune tutte le gabelle che si riscuoteva-

no in suo nome a Torino, «tamquam omnibus odioxas et graves», in

cambio di un sussidio straordinario di 1 fiorino per fuoco. Pochi gior-

ni più tardi il principe scrisse ai suoi gabellieri, che erano allora i notai

Guglielmo Mazzocchi e Giovanni Ponzio, invitandoli a cessare imme-

diatamente la riscossione delle gabelle e a presentarsi a Pinerolo per ren-

dere i loro rotoli alla Camera dei Conti

9

. In quello stesso anno Giaco-

mo morì, e i suoi domini, dopo la ribellione e l’esecuzione del figlio mag-

giore Filippo, rimasero per dodici anni sotto la tutela del conte Amedeo

VI; nel frattempo il consiglio comunale torinese procedette a riorga-

nizzare le gabelle sotto la propria esclusiva amministrazione, pur non

La classe dirigente e i problemi di una città in difficoltà

265

6

f. gabotto

,

Carte varie

, Pinerolo 1916 (BSSS, 86), doc. 222; AST, Paesi per A e B, Torino,

mazzo 5, doc. 1; AAT, prot. 23, ff. 6

r

, 48

r

.

7

CCT, rot. 46. Per le cause relative alla natura pubblica o privata dei pedaggi cfr. AST, Pro-

vincia di Torino, mazzo 3, nn. 1 e 4.

8

Cfr. ad esempio le lettere patenti del 1341, rinnovate nel 1363, con cui il principe Giacomo

concede alla città di imporre una gabella sul vino forestiero, originariamente riscossa nella misura

di 12 denari a staio (ASCT, nn. 3554 e 3559).

9

ASCT,

Ordinati

, 14, ff. 35-36, 42

v

.