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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)
cui fu coinvolto come mediatore anche il conte di Savoia, e che si con-
cluse con la decisione di reintrodurre il dazio sul sale a profitto della
città, e il pagamento del canone annuo al principe
14
.
L’accordo raggiunto in quell’occasione non mise tuttavia fine al con-
tenzioso provocato dalle gabelle torinesi, poiché il principe non perse
occasione per introdurre nuovi dazi, come quelli sul traffico del ferro o
sul commercio degli ovini, e al tempo stesso non mancò di contestare
all’occorrenza i diritti che il comune vantava sui vecchi dazi. A più ri-
prese il clavario sabaudo si lamenta in consiglio comunale di essere sta-
to molestato dalla Camera dei Conti di Pinerolo, poiché i «computato-
res Domini» pretendono di obbligarlo a rendere conto nei suoi rotoli
anche di gabelle riscosse dal comune, come quella sul vino; sicché il cla-
vario, sia pure a malincuore, è costretto a chiedere al comune di esibire
i suoi titoli di proprietà, minacciando di ridurre altrimenti le gabelle «ad
manus Domini»
15
. Come si può immaginare, l’incertezza creata da simili
improvvise rivendicazioni non era fatta per rassicurare gli speculatori;
e infatti accade talvolta che gli appaltatori cui è stata ceduta la gabella
la restituiscano al comune prima della scadenza, protestando contro le
«novitates» sollevate dal principe. A sua volta, la comunità non mostrò
mai troppa fretta di pagare al principe il canone annuo dovuto per la ga-
bella del sale, sicché in qualche occasione il vicario ricevette l’ordine di
arrestare l’intero consiglio comunale fino a quando non fossero pagati
gli arretrati. Solo nel 1408 il comune, dopo lunghe trattative, riscattò
definitivamente la gabella del sale, incorporandola nel pacchetto della
gabella minuta
16
.
Accanto alle gabelle vere e proprie occorre infine considerare le en-
trate garantite al comune dall’appalto del «denarius molendinorum», ri-
scosso nella misura di 3 denari per staio su tutti i cereali macinati nei
mulini della città
17
. In origine la gabella sul macinato era appaltata in-
14
ASCT, Carte Sciolte, nn. 3525, 3531, 3533, 3535;
bracco
,
Le finanze del Comune di Torino
nel secolo
xiv
cit., p. 54. Nell’occasione il comune si impegnò a pagare 90 fiorini ai consiglieri del
principe d’Acaia e del conte di Savoia, «pro concordia gabelle salis»; il giudice Mezzabarba anti-
cipò la somma, ed ebbe in pegno la gabella del vino importato in città (ASCT,
Ordinati
, 20, f. 110).
15
ASCT,
Ordinati
, 37, f. 26
v
; 39, f. 78
r
. Sui dazi e gli appalti banditi a nome del principe, co-
me la gabella del ferro o la «firma ponderis», l’appalto cioè del peso pubblico, si trovano ampie
informazioni nei rotoli dei CCT; la maggior parte di queste entrate vennero cedute nel 1399 ai ca-
nonici torinesi della cappella della Trinità in cambio dei loro possessi di Buriasco (AAT, Archivio
Capitolare, G.5/2, f. 47; CCT, rot. 55).
16
ASCT,
Ordinati
, 44, f. 88
v
; 49, f. 122
r
; Carte Sciolte, n. 3810.
17
Per l’entità dell’imposta cfr. ASCT,
Ordinati
, 16, f. 153
v
; ad essa si sommava un
forfait
di
10 fiorini pagato dalla comunità di Grugliasco ( 18, f. 43
v
). La riscossione del «denarius molendi-
norum», di fatto una vera e propria gabella, non va confusa con la rendita che i mulini procurava-
no al loro proprietario, il principe. Quest’ultimo possedeva la maggioranza, e dal 1410 la totalità,