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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

dai principali «mercatores et laboratores pannorum taurinensium», da

restituire in futuro sulla prima taglia. Se si considera che la somma

venne in realtà impiegata per pagare gli eredi di Matteo di Pavarolo,

cui la gabella era ancor sempre obbligata, e per rifondere in parte i ta-

vernieri e beccai, i quali già in precedenza avevano consentito a un

prestito forzoso da restituire sulla gabella stessa, apparirà evidente che

il comune di Torino era ormai invischiato in un circolo vizioso, e di-

vorava in anticipo le proprie entrate soltanto per pagare i debiti

25

.

Qualche anno più tardi, nel febbraio 1386, il comune ancor sempre

alla ricerca di denaro decise di imporre una nuova gabella sull’avena, la

spelta e l’orzo acquistati dagli osti, la cui funzione principale, ricordia-

molo, era quella di ospitare i cavalli ancor più che le persone dei viag-

giatori. Fin dal primo momento apparve evidente che il nuovo dazio non

era altro in realtà se non un mezzo di pressione inteso a spillar denaro

dalla categoria interessata; per parecchie settimane, infatti, se ne ritardò

l’entrata in vigore, mentre una commissione discuteva con gli alberga-

tori per raggiungere un accordo. Infine, poiché le trattative non porta-

vano ad alcuna conclusione, la gabella venne messa all’incanto, e il suo

prezzo era già salito a 300 fiorini quando gli osti, vedendo che le auto-

rità facevano sul serio, accettarono di concedere al comune 100 fiorini

a fondo perduto e altri 100 in prestito, ottenendo in cambio l’abolizio-

ne della misura minacciata

26

.

Rimane dunque confermata l’impressione che già alcuni anni or so-

no Giuseppe Bracco ricavava dalla sua indagine sulla finanza del comu-

ne di Torino nel Trecento. Le autorità torinesi non preparavano alcun

bilancio di previsione, né d’altronde avrebbero potuto farlo, giacché le

spese di guerra, o quelle per far fronte a un cattivo raccolto o a un’allu-

vione, benché così frequenti da potersi considerare quasi alla stregua di

spese correnti, si presentavano però di volta in volta in modo del tutto

imprevisto; la loro entità era, al tempo stesso, così variabile da rendere

ulteriormente impossibile qualsiasi previsione, e così elevata da vanifi-

care, al confronto, le scarse spese di gestione ordinaria che il comune

era solito accollarsi. In simili condizioni, non sorprende che la finanza

ordinaria fosse pressoché inesistente: gli strumenti più impegnativi di

politica fiscale, e quelli che di per sé presentavano un carattere di per-

manenza, ovvero i catasti, servivano però esclusivamente a un prelievo

straordinario come quello della taglia; mentre le gabelle, le quali in con-

dizioni di maggior agio avrebbero potuto costituire il fondamento d’una

25

ASCT,

Ordinati

, 23, f. 36

r

.

26

ASCT,

Ordinati

, 27, ff. 11

r

, 13

r

, 19

v

, 22

v

.