

sieme a quella del sale, per 300 o 400 fiorini; quando tuttavia il dazio
sul sale non venne più riscosso, il valore dell’appalto, messo all’incanto
di volta in volta per l’anno in corso, o al massimo per i due anni suc-
cessivi, discese a 120 o 150 fiorini all’anno. Senonché nel 1386 il co-
mune, trovandosi fortemente indebitato, deliberò di mettere all’incan-
to e anzi di vendere, poiché così si esprimono le fonti, l’imposta sul ma-
cinato per i sette anni a venire. Il notaio Giacobino Bainerio, portavoce
di una società che riuniva diversi notabili, si aggiudicò l’appalto offrendo
660 fiorini: una somma certamente elevata se si considera che l’appal-
tatore si impegnava a pagarla entro un mese per tacitare i creditori del
comune, ma corrispondente in ogni caso a un valore annuo assai infe-
riore rispetto al passato
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.
Avvicinandosi la scadenza dell’appalto, nel 1392, il consiglio comu-
nale decise che la rendita dei mulini sarebbe stata nuovamente messa
all’incanto, e questa volta per otto anni, impiegando la somma incassa-
ta per pagare i debiti della Società di San Giovanni Battista; poiché le
offerte non raggiungevano la cifra sperata, si decise in seguito di pro-
lungare la durata dell’appalto fino a quattordici anni, purché qualcuno
offrisse almeno 1000 fiorini. L’appalto si era a questo punto trasfor-
mato in una gara alla rovescia, in cui gli speculatori attendevano di ve-
dere fino a che punto il comune si sarebbe spinto pur di ottenere la som-
ma di cui aveva assoluto bisogno; infine, dopo sei mesi di offerte e con-
troofferte, una società capeggiata da Ugonetto Visconte si aggiudicò
l’appalto per la durata di ben diciotto anni, in cambio appunto di 1000
fiorini
19
.
Appalti a così lunga scadenza determinavano di fatto la privatizza-
zione del «denarius molendinorum», riscosso ormai a proprio esclusivo
profitto da speculatori che anticipavano al comune somme di gran lun-
ga inferiori a quelle che si sarebbero potute incamerare con appalti a più
breve termine. Non sorprende perciò che alla scadenza dell’ultimo ap-
palto le autorità si siano trovate in considerevole imbarazzo per riassu-
mere il controllo di un’entrata così a lungo sottratta alla loro giurisdi-
zione. Solo il 24 maggio 1411 la credenza si riunì per discutere «super
La classe dirigente e i problemi di una città in difficoltà
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delle 65 quote, o «divisse molendinorum», in cui la proprietà dei mulini era divisa, e li gestiva tra-
mite un «massarius molendinorum» salariato, i cui conti si conservano con lacune a partire dal
1357; solo nel 1423 Amedeo VIII si risolse per la prima volta ad accensare i mulini, e di lì a poco
il comune di Torino si assicurò l’esclusiva dell’appalto (
g. alliaud
e
a. dal verme
,
Le spese di ge-
stione e manutenzione dei mulini di Torino nei secoli
xiv-xvi
, in
g. bracco
[a cura di],
Acque, ruote
e mulini a Torino
, Torino 1988, p. 169). Per un inquadramento generale della questione cfr.
r.
comba
(a cura di),
Mulini da grano nel Piemonte medievale
, Cuneo 1993.
18
ASCT,
Ordinati
, 27, f. 9
r
.
19
ASCT,
Ordinati
, 33, ff. 34
r
, 75
r
, 90
r
.